Parigi, 22 mag – Essendo chiarissimo da sette anni almeno l’impennata del valore delle azioni non produce alcun effetto sull’economia reale, le strabilianti iniezioni di liquidità operate dalla Federal Reserve (Fed) americana prima, quindi dalla banca centrale del Giappone e dalla Banca centrale europea (Bce) di Mario Draghi ha sortito l’effetto di costringere gli economisti a rivedere almeno due volte l’anno, se non di più, le loro stime sempre sbagliate per grande eccesso sulla crescita che non è mai avvenuta.
L’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, lo certifica nero su bianco nel suo ultimo Rapporto uscito il 21 maggio: nella maggior parte dei 34 paesi dell’organizzazione, tutti annoverati tra quelli sviluppati, il divario del reddito individuale è al livello più alto da tre decenni, con il 10% più ricco della popolazione che guadagna 9,6 volte di più rispetto al 10% più povero, mentre negli anni ’80 del secolo scorso, questo stesso rapporto stava al livello di 7:1.
Il divario della ricchezza è ancora più grande, con il primo uno per cento che possiede il 18% della ricchezza e il 40% più basso soltanto il 3%, nel 2012.
“Abbiamo raggiunto un punto di non-ritorno. La diseguaglianza nei paesi Ocse è al livello più alto da quando sono iniziate le stime”, sostiene il segretario generale Angel Gurria, riferendosi ai redditi, perché per le proprietà e i patrimoni la situazione è ancora più polarizzata, essendo quasi interamente nelle mani del primo 10% della popolazione.
Traspare per la prima volta dal rapporto Ocse una certa disperazione, in particolare nella constatazione che i meccanismi di concentrazione della ricchezza sono intrinseci alla globalizzazione capitalistica e si sviluppano attraverso la delocalizzazione delle attività manifatturiere, la creazione di nuovi posti di lavoro in maggior parte, tra il 1995 e il 2013, a tempo parziale, precari o solo formalmente autonomi – proprio la “nuova occupazione” di cui si vanta il governo Renzi e che in realtà è un potentissimo motore dell’impoverimento –, l’iper-tassazione a carico quasi esclusivamente del lavoro dipendente e delle classi medie, appunto la creazione di denaro dal nulla da parte delle banche centrali che ha il solo effetto di pompare le quotazioni azionarie a esclusivo vantaggio dei grandi proprietari degli asset quotati e senza alcun riscontro nei risultati dell’economia reale.
Infine, il dumping salariale attraverso l’immigrazione dequalificata (salvo che in alcuni paesi come il Canada, dove non si entra se non dimostrando competenze d’eccellenza), che in Italia è costata centinaia di miliardi di Euro in mancata crescita.
Il tutto favorito o determinato, come riporta a chiare lettere la stessa Ocse, dalla vera e propria appropriazione dei governi nazionali da parte delle élite super-ricche.
“Non affrontando la crescente diseguaglianza, i governi stanno distruggendo la coesione sociale dei loro paesi e danneggiando le loro stesse prospettive di crescita economica di lungo termine”, afferma ancora Gurria con un linguaggio misurato che sottende alcuni concetti fondamentali, in particolare: comprimere o eliminare il consumo discrezionale da parte di oltre metà delle popolazioni non può essere compensato dall’incremento dei consumi di lusso del primo 10% o 1%, col risultato di deprimere ulteriormente la domanda, comprimere i redditi di gran parte delle popolazioni nazionali significa anche impedire alle relative giovani generazioni di condurre percorsi educativi e formativi adeguati, quindi perdere definitivamente l’occasione di acquisire competenze da mettere a disposizione della crescita economica.
Poiché più un problema è grande, meno può essere risolto da chi l’ha creato, la ricetta fiscale che l’Ocse propone ai fini della ridistribuzione della ricchezza oscilla tra l’ingenuità e il rischio di aggravare ulteriormente le diseguaglianze: “Per affrontare [il problema], le politiche devono assicurarsi che gli individui più ricchi, ma anche le multinazionali, paghino la propria quota del carico fiscale”, si legge nel rapporto. Tutto bene in teoria salvo che, in realtà, quello che conta oggi, in fase di prolungata deflazione, non è il reddito misurabile con la liquidità, ma i patrimoni e le proprietà, incluse quelle azionarie, le stesse che i governi nelle mani dell’élite stra-ricca e parassitaria non tasseranno mai.
Ancora una volta, è evidente che le nazioni che vorranno salvarsi dovranno riprendere in mano il proprio destino, magari anche sull’esempio della Russia che nel 2007 – col famoso discorso di Putin a Monaco – decise di abbandonare lo scenario unipolare e costruire un blocco alternativo e sovranista che oggi, con Cina, Brasile, India e Sud Africa, vede procedere insieme un gruppo di paesi a economie largamente complementari e mercati interni vastissimi, decise a non sottostare oltre alle ricette perverse di cui la stessa Ocse, e più ancora il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, si sono fatte artefici.
Francesco Meneguzzo