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Patria e rivoluzione: ecco l'”Eredità spirituale di Giuseppe Mazzini”

by Sergio Filacchioni
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Mazzini

Roma, 10 mar – Esce oggi il nuovo libro di Passaggio al Bosco, “L’eredità spirituale di Giuseppe Mazzini”. “Nuovo” per modo di dire: l’autore è Marco Aurelio Bocchiola e il testo è uno dei quaderni della Scuola di Mistica Fascista “Sandro Mussolini”. Un testo inedito ai nostri tempi, che riscopre il valore del messaggio rivoluzionario di Mazzini ricollegandolo agli archetipi della “poesia del XX secolo”.

Patria e Rivoluzione: il sovrumanismo di Mazzini

“Dovunque saremo, là sarà Roma.” Il 30 giugno 1849, con queste parole, Giuseppe Garibaldi saluta la fine della Repubblica Romana, un’esperienza breve ma dal valore simbolico incalcolabile. Per settimane, volontari giunti da tutta Europa hanno combattuto strenuamente contro le truppe francesi, difendendo non solo una città, ma un’idea: quella di una Patria risorta, forgiata dal sacrificio e dalla lotta. Non è l’evento storico in sé a catturare la nostra attenzione, ma il mito che ne è scaturito, destinato a riemergere nei decenni successivi. Il fascio littorio, l’aquila, Roma: sono questi i segni della prima irruzione del sovrumanismo nella storia moderna. Perchè se Mazzini e i repubblicani del 1849 hanno gettato il seme, sarà il Fascismo a raccoglierne l’eredità, inscrivendosi in una visione della storia che esalta la volontà e la missione del popolo. Come scrisse lo storico Ernst Nolte, il Fascismo trova la sua piena legittimità nel momento in cui oppone al Marxismo una propria concezione del divenire storico. E questa concezione ha un nome: rivoluzione nazionale, ovvero la rigenerazione di un popolo attraverso la lotta e il sacrificio.

Mazzini, Nietzsche e il Fascismo

Nel 2003 lo storico francese Dominique Venner osservava che, dopo la Prima guerra mondiale, la gioventù combattente eredita da Mazzini non solo l’idea di una politica intesa come dovere e missione, ma anche la convinzione che il Risorgimento fosse una rivoluzione incompiuta. Un concetto chiave che attraversa la storia italiana, fino a diventare il nucleo ideologico della nuova sintesi Fascista. La sintesi tra Mazzini e Nietzsche, che apparentemente distanti si incontreranno, non solo sulle Alpi, ma anche nella mente di Benito Mussolini, in un punto cruciale della genesi della sua rivoluzione: la distruzione dell’egualitarismo e la costruzione di una nuova gerarchia di valori. Se Nietzsche individua nel Cristianesimo la radice dell’”imbestiamento dell’Occidente”, Mazzini, con il suo primato del dovere sulla “ricerca della felicità”, costruisce una religione civile alternativa, fondata sulla Patria e sul sacrificio più che sugli utopistici diritti universali. Non è un caso che Mussolini, oltre che nel profeta di Röcken, trovasse nel genovese un maestro e una guida. Non solo nella sua esperienza giovanile, ma anche e soprattutto nella sua maturità politica: tra il 1920 e il 1921 lo cita decine di volte, definendolo “l’apostolo della conquista dello Stato”. Nella Dottrina del Fascismo, la visione religiosa dello Stato-civiltà riprende chiaramente il pensiero mazziniano: “Il mondo ha sete d’autorità”, diceva Mazzini; “mai come oggi i popoli hanno sete di ordine e di direttive”, risponderà Mussolini.

Un popolo in movimento

Oggi, questo pensiero fa ancora paura. La rimozione sistematica di Mazzini dalle scuole e la censura di eventi a lui dedicati dimostrano che la sua eredità è ancora troppo viva per essere semplicemente “musealizzata“. Ma una rivoluzione non può essere difensiva, ha bisogno di movimento, di educazione, di narrazione. Come scriveva Carl Schmitt: “L’essenza di ogni popolo è il movimento: storico, politico, ideale”. Il mito mazziniano non è solo storia passata, ma una promessa per il futuro.

Sergio Filacchioni

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