Roma, 6 mag – Nuovo capitolo della saga del papa “umile”, questa volta nella forma di una tonaca visibilmente sfilacciata adoperata con nonchalance in pubblico. È arrivato il momento di dirlo: questo papa simpatico e alla mano, che fa battute, utilizza la croce di ferro anziché quella d’oro, dorme in una umile stanza in un convitto, esalta i poveri e gli umili, regala le sim ai clandestini, sta cominciando a diventare stucchevole.
È certamente da ammirare il perfetto utilizzo di tutti i moderni strumenti di comunicazione dei simboli che incarna direttamente nel suo pauperismo, atti a suscitare le più vivide emozioni nel popolino che in lui si riconosce e lo ama, dopo la brutta parentesi di quell’arcigno teutonico del suo predecessore che pretendeva addirittura di essere un teologo e di parlare di dottrina. Che roba, signora mia, non ci sono più le giornate mondiali della gioventù di una volta, quelle in cui si applaude il papa come una popstar e poi si lasciano migliaia di profilattici usati sul prato.
Papa Francesco, talmente abile da aver fatto dimenticare a tutti di essere un gesuita (per definizione, un ipocrita), svolge nell’attuale crisi epocale del capitalismo un ruolo a dire il vero abbastanza semplice ma comunque fondamentale. Chiunque ricorderà quando da piccolo la mamma, spazientita per il fatto che non volevamo mangiare le verdure, berciava qualcosa che doveva indurci a pensare ai bambini che muoiono di fame e fesserie simili.
Certo, di per se la cosa è del tutto irrazionale, in quanto non c’è correlazione alcuna fra le verdure che io mangio e quelle che non mangiano gli africani, ma questo continuo redarguire ha un effetto dirompente sulla nostra psiche, che si confà al senso di colpa per il nostro benessere: se siamo ricchi, dobbiamo sentirci in colpa per l’esistenza dei poveri. A ben vedere, è praticamente lo stesso meccanismo con cui i media ci vogliono convincere che se ci lamentiamo dell’invasione immigrata è perché siamo razzisti che si crogiolano nel lusso e nel vizio, e non vogliono condividere questo stile di vita con nessuno.
Idem per il messaggio del papa, infarcito di un pauperismo a tratti simile a quello degli eretici medioevali, il cui scopo è quello di indurre i fedeli ad accettare di buon grado la povertà, sia quella presente che, soprattutto, quella futura per cui ci stanno preparando.
Bisogna essere chiari su questo punto, a costo di essere sgradevoli: esaltare la povertà nel bel mezzo della più grave recessione dell’ultimo secolo non solo è idiota, ma è anche criminale. In pratica, equivale ad esaltare il dolore in un reparto di oncologia, o la sottomissione in un campo di cotone sudista. Criminale, ovvio, ma perfettamente funzionale ed anzi socialmente accettato a causa del senso di colpa inconscio di cui sopra, che fa il paio con l’asfissiante retorica ambientalista contro il consumismo.
A riprova di questo, c’è che praticamente tutti i movimenti occidentali che, in qualche misura, si definiscono anti-sistemici hanno fatto propria questa retorica contro lo “spreco”, e quindi non possiedono gli strumenti mentali per opporsi alla depravata liturgia del papa argentino. Sembra di ricordare la Gabanelli quando asseriva che una persona onesta non ha bisogno di più di 50 euro in contanti la settimana, altrimenti è un palese evasore o peggio un laido pervertito che usa quei soldi per chissà quali turpi scopi.
La sinistra radical-chic, la Chiesa, la stampa paludata, gli opinionisti che contano, persino in molti casi i cosiddetti “movimenti non conformi”. Tutti schiavi di questa asfissiante retorica.
Se esiste la miseria la colpa è esclusivamente del fatto che non si sono volute applicare quelle politiche economiche necessarie a promuovere la crescita, l’occupazione, lo Stato sociale, il risparmio diffuso, la produttività del lavoro. Non è il caso di sentirsi in colpa se non vi piacciono i broccoli, perché non piacciono a nessuno, e chi asserisce il contrario mente. Non sono i vostri “sprechi” a rendere poveri gli altri, non sono il buon vino che bevete, il tabacco che fumate, la musica che ascoltate, il cinema che seguite, l’arte che ammirate il problema, ma sono le politiche sbagliate o peggio scientificamente studiate per ottenere proprio questo effetto.
Con la disoccupazione stabile al 13%, pensare che il problema sia un qualche astratto “consumismo”, ovvero il fatto che c’è chi spende danaro anche per cose che esulano dalla mera sopravvivenza, è una forma abbietta di ipocrisia. Quel grande eretico e rivoluzionario nel cui nome hanno indegnamente fondato una chiesa, il rabbino Jeshua, non era solo quello che prendeva a schiaffi i mercanti nel tempio, ma anche quello che faceva baldoria con gli amici persino nei giorni tabù dalla tradizione israelitica, creando grande scandalo fra i benpensanti (ieri i farisei, oggi sacerdoti impegnati e sinistra radical-chic, gli atavici nemici dell’Italia). È facile immaginare come, teoricamente, sotto la definizione di “spreco” ci sia praticamente di tutto, dal pacchetto di sigarette alla birra con gli amici o la cena con una bella signorina, fino alle cattedrali o all’arte in generale.
In effetti, perché spendere danaro per erigere la cupola di San Pietro, quando si possono sfamare i poveri? Perché erigere templi e splendide architetture? Perché mai concedersi un vestito nuovo o la mangiare del gatto quando con quei soldi si possono sfamare 10 bambini africani? Perché mai respingere i barconi, quando il pranzo con la cena noialtri lo mettiamo bene o male insieme?
Semplice: perché non siamo degli ipocriti gesuiti e la croce, se proprio la dobbiamo indossare, la vogliamo d’oro, e se esco con la mia signorina non andiamo a pane e cipolla. Perché non è la felicità o il benessere individuale (almeno fino ad un certo livello) che inficiano la felicità ed il benessere altrui.
“E quando fate un digiuno religioso, non agite come gli ipocriti. Essi mostrano la faccia triste, perché tutti vedano che stanno digiunando. Ma io vi assicuro che questa è l’unica loro ricompensa”.
Matteo Rovatti
2 comments
Tutto giustissimo.
Peraltro almeno il problema della fame nel mondo sarebbe più che dimezzato se la Chiesa, Francesco incluso, non si ostinasse a contrastare ogni politica demografica.
Sono legittime le sue rflessiobi ma personalmente non riescoa vedereSan Francesco d’Assisi, che scelse di vivere in un lebbrosario, come un ipocrita in cerca di visibilità e vanagloria. Io ci sono arrivato tardi ma sto pian piano capendo ciò che Cristo ci ha detto nel Vangelo. Tutto ciò che facciamo su questa deve avere come scopo ultimo il raggiungimento della futura piena esistenza con Lui. (Ovviamente per chi crede) l’importante è vivere dignitosamente ma al contempo spendersi il più possibile per amare e aiutare i fratelli. L’Amore e la Carità restano in eterno tutto ciò che abbiamo qui passa. Papa Francesco non chiede a nessuno di noi di vivere come eremiti e rinunciare a ogni comodità che abbiamo, ci sta chiedendo di ricordarci di quei fratelli poveri e di aiutarli. Per aiutarli non è necessario andare in Africa o in Nepal, basta regalare un sorriso, 1 euro, un panino, conforto a quei poveri, non solo di denaro, che incontriami quotidianamente.