Roma, 4 set – Qualche parola su quanto accaduto a Paderno Dugnano, sul massacro che ha inorridito l’Italia in questi giorni, va spesa necessariamente. Sia per collegarci alla riflessione Filippo Facci che abbiamo rilanciato sul “familicidio”, sia perché molto di questo modo di approcciare alla realtà familiare sembra essere collegato alla modernità. Quanto meno a quella rivoluzionata dopo il Sessantotto e al rapporto sempre più complesso tra genitori e figli. Paolo Crepet, non certo un pericoloso tradizionalista, ha più volte sottolineato quanto il ruolo dei genitori si sia sgretolato negli ultimi decenni. E in un certo senso la spiegazione e confessione “confusa” del minorenne autore del massacro di Paderno qualcosa ci dice. Specialmente quando sostiene di aver agito in nome di una sottospecie di “emancipazione”.
Paderno, il massacro e la strana confessione
La confessione del pluriomicida minorenne non può non lasciare sbigottiti. Non solo per le conferme sua sponte delle terribili accuse su cui verrà giudicato, ma anche per il contenuto oggettivamente inquietante, oltre che bizzarro. Il ragazzo ha motivato il folle gesto (uccidere tutta la sua famiglia) con una specie di “emancipazione”. Voleva sentirsi “libero” anche dai suoi familiari. Il gip lo interrogherà giovedì alle 10.30.
“Non mi riesco a dare una spiegazione, non avevo intenzione di uccidere, sono molto dispiaciuto, quel disagio lo covavo da tempo con pensieri di morte, ma non pensavo di uccidere la mia famiglia, questa cosa l’ho pensata quella sera”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Vivevo questo disagio, un’angoscia esistenziale, ma non pensavo di arrivare a uccidere, non mi so spiegare cosa mi sia scattato quella sera, purtroppo è successo”. Ovviamente, le prossime ore e giorni saranno decisivi per stabilire i “classiìci disagi psicologici” del sanguinolento giovane. Di sicuro, le sue parole non vanno prese troppo alla leggera. Potrebbero essere casuali o semplici giustificazioni, ma c’è dell’altro su cui riflettere. Non solo su Paderno, ma su Novi Ligure, su Pietro Maso, e, in generale, su un modo peculiare in cui si sono sviluppati i rapporti tra genitori e figli nella nostra disgraziata epoca.
La cultura di massa descrive i buoni genitori come dei deboli e stupidi
Ovviamente, non è questo l’intento, che in teoria corrisponderebbe a una visione “sensibile” del genitore, il quale nell’immaginario cinematografico e televisivo, quando è “bravo” è anche “amico” del figlio. Anzi, esclusivamernte amico del figlio. Ma non solo: chiede continuamente scusa al figlio per le sue mancanze, e il minorenne di turno molto spesso è colui che capisce come vanno le cose, che indirizza il genitore nella direzione giusta e corretta, che lo illumina e talvolta lo “converte”. Lo si vede in gran parte dei cosiddetti “teen drama” di produzione statunitense che hanno spopolato anche da noi: Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek, Everwood, The O.C. e via discorrendo. Contenuti visti da milioni di giovani in tutto il mondo, il che inevitabilmente produce una funzione educativa ancora maggiore di quella sessantottina e di quella scolastica: il risultato è che i ragazzi non riconoscono l’autorità degli adulti. E chissà che, in casi di evidenti malattie mentali, non si possa arrivare a una “emancipazione” come quella di Paderno…una utile scusa, magari condita da una credenza reale da parte del protagonista di turno. Anche Erika si fece aiutare da Omar ad uccidere la madre perché desiderava “la libertà”…
Alberto Celletti