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Olanda: vince Wilders. Per l’Europa e per l’Italia è un tassello in più, ma non basta

by Stelio Fergola
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Wilders olanda

Roma, 23 nov – La vittoria di Geert Wilders in Olanda certifica comunque um processo storico che continua, seppur sotto traccia. Soltanto 15 anni fa l’euroscetticismo – inteso come ferma ostilità all’Ue e alle sue politiche – era pura fantascienza. Adesso coinvolge una buona metà degli elettori del continente, seppur in pochi pronti a una militanza chissà quanto “energica” contro l’attuale status quo. Per il resto, però, si tratta ancora di poca cosa, vediamo perché.

Elezioni in Olanda: vince Wilders, addio al “simpaticissimo” Rutte

Il Partito per la Libertà di Wilders viaggia spedito, secondo quanto riportato anche su Tgcom24. Una vittoria abbastanza netta, che permetterebbe alla formazione politica anti-immigrazionista di raddoppiare i seggi ottenuti precetendemente in parlamento: nel 2021 erano stati 17, oggi saranno 35, sui 150 della Camera Bassa degli Stati Generali d’Olanda, quella eletta a suffraggio universale. Oltre 13 milioni di olandesi sono andati a votare, nonostante l’affluenza sia in calo rispetto al passato. La vittoria di Wilders, nonostante le sue dichiarazioni pompose (“Governeremo, siamo il partito più grande”), non significherà matematicamente guidare il Paese. Da solo, il Pvv non può riuscirvi matematicamente, e necessita di alleati.

Gli altri piazzamenti confermerebbero quanto sia remota o quanto meno complicata questa possibilità: i Laburisti-Verdi guidati dall’ex vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, sono sui 26 seggi. Dilan Yesilgoz, considerata l’erede di Mark Rutte, sui 23 seggi. Poi il Nuovo contratto sociale (Nsc) del cristiano-democratico Pieter Omtzigt fermo a 20 seggi. Nessuno di questi sosterrebbe la politica di Wilders, in particolar modo sullo stop all’immigrazione (sebbene Yesilgoz si sia dimostrata favorevole a una limitazione dei flussi, ha dichiarato che non appoggerebbe mai un esecutivo guidato dal Partito per la Libertà). Dunque, l’aspirante premier dovrebbe scendere a compromessi per formare un governo stabile.

Ci vuole molto di più di questo

Va detto che buona parte di questo scetticismo emerso nell’ultimo decennio sia finito in partiti che poi hanno abiurato o comunque compromesso e “occultato” gran parte dei valori che li avevano portati al successo: da Marine Le Pen in Francia, a Matteo Salvini in Italia, o la stessa Giorgia Meloni, oppure Vox in Spagna. Ovunque, i partiti cosiddetti sovranisti hanno dovuto ridimensionare se non addirittura mettere da parte le proprie dichiarazioni, stranamente in coincidenza con la crescita vertiginosa della loro popolarità. La sintesi è sempre la stessa: all’esplosione dei voti o all’entrata attiva in governi corrisponde un’auto-censura. Sottolineando che Wilders vince in un Paese dal peso specifico molto limitato negli equilibri continentali e che per ben note ragioni di maggioranza in Parlamento difficilmente riuscirà a governare autonomamente. Fa eccezione il solito Viktor Orban, che – questo sì – si congratula con il collega olandese, nella speranza di trovare sponde in grado di rafforzare la sua politica estera “accerchiata”.

Stelio Fergola

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