Roma, 31 ago – Dopo tanti anni di battibecchi veri o presunti, di partite del Manchester City e di liti reali ed ingigantite a consumo dei media e per creare hype verso ciò che prima o poi sarebbe stato inevitabile, Liam & Noel Gallagher (per chi fosse vissuto su Marte negli ultimi tre decenni, rispettivamente voce e chitarra solista degli Oasis) hanno annunciato che riformeranno la band per un tour nel 2025, per ora tra Regno Unito e Irlanda, e poi magari chissà pure per un ritorno in studio di registrazione. Alla storica rimpatriata ha già risposto presente anche la storica chitarra ritmica Paul “Bonehead” Arthurs.
Oasis, trent’anni dopo
Ed ecco così che nel trentennale dell’album d’esordio che li ha definitivamente consacrati nell’Olimpo della musica mondiale, vale a dire Definitely Maybe, seguito l’anno successivo dall’altrettanto fondamentale (What’s the Story) Morning Glory?, i due fratelli più amati, odiati e chiacchierati del panorama musicale ritornano prepotentemente a far parlare di sé con una serie di date che promettono di fare decisamente la fortuna loro e degli organizzatori, ma in fondo anche un po’ di noi fans.
Chiarisco subito il mio pensiero: tra chi venera la band di Manchester e la posizione nel gotha assoluto accanto ai pochi altri mostri sacri e chi li considera un fenomeno eccessivamente esaltato dal gossip più che dalla sostanza, io mi colloco a metà. Gli Oasis hanno fatto un grandissimo bene alla musica, che negli anni Novanta ha ritrovato la più pura forma di canzone rock che si era un po’ persa negli anni ’80 ed inoltre hanno ripreso in maniera sincera e genuina tutta la rabbia punk degli anni ’70. Gli Oasis sono stati una band working class, che suonava per la working class, parlando di tematiche working class. E scusatemi se è poco, di questi tempi. Inoltre si sono sempre espressi contro chi usa il palco per fare sermoni politici liberal con il culo ben protetto al caldo… ed ogni riferimento a Damon Albarn ed agli eterni rivali dei Blur non è assolutamente casuale. “Sei pagato per cantare. Canta!”, ci dicono. Sembrerebbe una banalità, ma ormai non è più così scontato.
Una luce che si spense presto, ma apprezziamo la nostalgia
D’altro canto non posso non considerare come, dopo i primi due dischi, la loro vena creativa sia andata progressivamente esaurendosi (non me ne vogliano i loro tifosi più accaniti), sfornando tra il 1997 ed il 2008 cinque opere discrete ma non memorabili e che certo non porterei con me sulla famosa isola deserta. Ho avuto la fortuna di vederli dal vivo diverse volte e, o rimanevo letteralmente incantato come successo a Wembley nel 2009, anno della fine del sodalizio, oppure tornavo a casa irritato con loro perché Liam lasciava il palco dopo l’ennesima lite con il fratello.
Ma sostanzialmente il ritorno degli Oasis è un successo annunciato perché rappresenta il trionfo della nostalgia, quel sentimento dolce e amaro che accomuna un po’ tutti noi che abbiamo da un pezzo superato i quarant’anni. Sappiamo benissimo che certi ritorni hanno veramente poco di romantico, ma sono bensì un’operazione di marketing ben orchestrata, eppure li aneliamo come una fresca birra al pub dopo una giornata di lavoro, perché ci fanno sentire forse ancora giovani o, molto più probabilmente, perché ci permettono di far riemergere ricordi di amori passati, di epiche sbronze, di amici non più tra noi. Ecco ciò che ci spinge ad andare a riascoltare le vecchie band, pagando magari cifre spropositate: sentire ancora una volta quel vecchio brivido. In fondo l’importante è rendersene conto.
Roberto Johnny Bresso