Seconda parte della nostra inchiesta sugli italiani costretti a fuggire all’estero: quanti sono, e cosa fanno?
Qui la prima parte
Roma, 17 mar – L’emigrazione degli italiani all’estero, dopo gli intensi movimenti degli anni ’50 e ’60, è andato ridimensionandosi negli anni ’70 e fortemente riducendosi nei tre decenni successivi, fino a collocarsi al di sotto delle 40.000 unità annue. Invece, a partire dalla crisi del 2008 e specialmente nell’ultimo triennio, le partenze hanno ripreso vigore e, secondo stime, hanno raggiunto gli elevati livelli postbellici, quando erano poco meno di 300.000 l’anno gli italiani in uscita.
Secondo l’ultimo rapporto Istat, continua a crescere il numero delle emigrazioni (cancella-zioni dall’anagrafe per l’estero), nel 2015 sono 147 mila, l’8% in più rispetto al 2014. Tale aumento è dovuto esclusivamente alle cancellazioni di cittadini italiani (da 89 mila a 102 mila unità, pari a +15%), mentre quelle dei cittadini stranieri si riducono da 47mila a 45 mila (-6%). Le principali mete di destinazione per gli emigrati italiani sono Regno Unito (17,1%), Germa-nia (16,9%), Svizzera (11,2%) e Francia (10,6%). Sono sempre di più i laureati italiani con più di 25 anni di età che lasciano il Paese (quasi 23 mila nel 2015, +13% sul 2014); l’emigrazione aumenta anche fra chi ha un titolo di studio me-dio-basso (52 mila, +9%). Gli emigrati di cittadinanza italiana nati all’estero ammontano a oltre 23 mila: il 55% torna nel Paese di nascita, il 37% emigra in un Paese dell’Unione europea, il restante 8% si dirige verso un Paese terzo non Ue.
Negli ultimi cinque anni le immigrazioni si sono ridotte del 27%, passando da 386 mila nel 2011 a 280 mila nel 2015. Le emigrazioni, invece, sono aumentate in modo significativo, passando da 82 mila a 147 mila. Il saldo migratorio netto con l’estero, pari a 133 mila unità nel 2015, registra il valore più basso dal 2000 e non è più in grado di compensare il saldo naturale largamente negativo (-162 mila). Sulle complessive 147 mila emigrazioni per l’estero registrate nel 2015, soltanto 45 mila riguardano cittadini stranieri, contro 102 mila di cittadini italiani (70%), un numero quest’ultimo in crescita del 15% rispetto al 2014 e più che raddoppiato in cinque anni. Gli italiani rientrati dall’estero nello stesso anno ammontano invece a 30 mila. I due flussi danno origine così a un saldo migratorio negativo dei soli cittadini italiani di 72 mila. Nel 2015, il saldo migratorio con l’estero degli italiani con almeno 25 anni evidenzia una per-dita di residenti pari a 51 mila unità, di cui tre su dieci (15 mila) sono individui in possesso di laurea. Una significativa perdita di residenti riguarda anche coloro in possesso di un titolo di studio fino al diploma di scuola media superiore (-36 mila).
Nel 2016 sono stati 114.512 gli italiani che si sono trasferiti all’estero. Erano 84, 73.415 nel 2014, e solo 37.129 nel 2009. Una crescita di 3 volte, dunque, accelerata nell’ultimo anno. Non vi sono grandi Paesi che abbiano vissuto una crescita del fenomeno paragonabile all’Italia. Anzi, in gran parte dei casi con la fine della crisi economica vi è stato anche un calo del numero di emigrati. Un caso peculiare è quello spagnolo. Si è passati da 75.765 a 67.738 tra il 2015 e il 2016, nello stesso lasso di tempo in cui in Italia sono cresciuti di 30 mila. Uno dei tanti segni della differenza tra la ripresa spagnola, che viaggia a ritmi per noi inarrivabili, e la nostra.
Chi se ne va? Certo, in gran parte sono i giovani tra i 25 e i 34 anni, che componevano nel 2015 più del 45% del totale degli emigranti. E tuttavia dal 2011 sono cresciuti più di tutti i giovanis-simi, tra i 20 e i 24 anni, +225%. C’è un piccolo picco, +109,6%, anche tra i 50-54enni. La crescita dell’esodo di italiani in generale non trascura nessuna età. Il Regno Unito continua ad essere la meta preferita dei laureati (quasi 4 mila), davanti a Ger-mania (oltre 3 mila) e Svizzera (più di 2 mila). La residenza favorita da coloro che posseggono un titolo di studio fino al diploma, invece, è la Germania (9 mila) seguita dal Regno Unito (8 mila). Infine, tra le mete oltreoceaniche, ci si reca soprattutto negli Stati Uniti (quasi 4 mila) e in Brasile (3 mila), movimenti che interessano, nel 36% dei casi, italiani in possesso di laurea. Gli immigrati italiani con più di 24 anni sono 22 mila, quasi mille in più rispetto all’anno pre-cedente. Di essi, oltre 7 mila posseggono la laurea (35%), circa 14 mila hanno un titolo di stu-dio medio-basso (65%) e provengono prevalentemente da Germania, Svizzera e Brasile.
Oggi gli italiani emigrano, in proporzione agli abitanti, più di spagnoli e tedeschi, cosa mai ac-caduta prima. Se non fosse per l’improvvisa crescita di “cervelli in fuga” britannici nel 2016 (dovuta alla Brexit?) anche il Regno unito sarebbe superato. Anche volendo allargare il confronto a tutti i Paesi europei, anche quelli minori, l’Italia si è piazzata tra il 2015 e il 2011, gli anni i cui dati sono disponibili su Eurostat, al quarto posto quanto ad aumento dell’emigrazione degli autoctoni, con un +104,3%. Con il balzo del 2016 l’Italia sarebbe prima, davanti anche a Croazia, Ungheria, Slovenia.
A emigrare dunque sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore. Tra gli italiani con più di 25 anni, registrati nel 2002 in uscita per l’estero, il 51% aveva la li-cenza media, il 37,1% il diploma e l’11,9% la laurea ma già nel 2013 l’Istat ha riscontrato una modifica radicale dei livelli di istruzione tra le persone in uscita: il 34,6% con la licenza media, il 34,8% con il diploma e il 30,0% con la laurea, per cui si può stimare che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati. Le destinazioni europee più ricorrenti sono la Germania e la Gran Bretagna; quindi, a seguire, l’Austria, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa si indirizzano circa i tre quarti delle uscite) mentre, oltreoceano, l’Argentina, il Brasile, il Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela.
Questi dati meritano già di per sé un’attenta considerazione anche perché ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il paese (oltre che per la famiglia): 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca, come risulta da una ricerca congiunta condotta nel 2016 da Idos e dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” sulla base di dati Ocse.
Gian Piero Joime
La nuova emigrazione italiana /2: i numeri dell'esodo
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4 comments
Con calma…….sono vecchio e laureato in un campo in cui , fortunatamente , sia per mancanza di concorrenza e sia per poca volontà altrui di sacrificarsi non ho mai avuto grossi problemi nel trovare occasioni lavorative e confermo anche che in questo martoriato paese la fuga di tecnici e scienziati sia gravissima,cosi come lo è la caduta verso il basso del giornalismo , pra parziale e caprone…….. Se articoli come questo sono pubblicati dal sempre valido PN mi chiedo dove sia finito il giornalismo economico in Italia visto che il tutto è bellamente taciuto dalle cosiddette grandi firme e prestigiose testate mediatiche……….perché un giovane preparato o una giovane dottoressa dovrebbero soffrire in un paese , in cui , per darti uno stipendio dignitoso il tuo datore di lavoro deve pagare tre volte il tuo compenso , fra tasse e gabelle varie , e nel contempo una casta politica e una burocrazia parassita si autopremiano con mensili da mille e una notte……???……per non parlare delle povere partite iva , vessate e schiavizzate , quasi ad affermare che aver voglia di lavorare ed impegnarsi in questo povero paese sia un gravissimo peccato mortale…….meglio favorire una invasione e una sostituzione razziale fatta di delinquenti e analfabeti tanto oramai il più è perso……..emigrate giovani , emigrate ………i laureati,latinisti e architetti , provenienti dall’africa ci salveranno e ci indicheranno la retta via……..per il momento spacciano , fanno a pezzi le giovani italiane e spaccano le ossa alle forza dell’ordine………dettagli ovviamente.
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La domanda da porsi… tra 10/20 anni questi che hanno emigrato sarebbero stati la nuova classe dirigente. Ora chi la sostituira?