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“Non riattaccare”: un altro thriller italiano che non convince

by Tommaso de Brabant
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Non riattaccare

Roma- 21 lug – Roma, marzo 2020 (prime settimane della “zona nera” da Covid): Irene (Barbara Ronchi) riceve a notte fonda una telefonata dal suo ex fidanzato, Pietro (Claudio Santamaria), che accenna a vaghi propositi suicidari. Preleva l’automobile del ragazzo con cui sta avendo una relazioncina e, nonostante le restrizioni, corre a salvarlo, continuando a parlargli.

Non riattaccare: un buon espediente e una brava protagonista, ma ci vorrebbe altro

L’idea è originale (un’attrice, quasi sempre da sola in scena, impegnata in una sequenza che si vorrebbe ininterrotta – i tempi sono comunque sfasati): ma come capita con i film sperimentali, basati su di una trovata formale, non c’è sostanza. Quel che è peggio, Non riattaccare è un thriller senza “thrill”. Le paturnie di Pietro (e la voce impastata e monocorde del sopravvalutato Santamaria) sono tediose, i suoi battibecchi con Irene penosi: la suspense è affidata a due sole scene, l’incontro dal benzinaio col bravissimo Roberto Citran (che pur con la sua faccia simpatica riesce a interpretare un ometto laido) e quello all’autogrill con i due poliziotti, che risolvono la questione nello spirito del film: senza convinzione. Viviamo troppo a contatto con gli smartphone: un film in cui l’autentico protagonista (assieme all’automobile) è un telefonino risulta inquietante, ma per i motivi sbagliati. Colonna sonora di Motta con qualche bel momento e una brutta canzone sui titoli di cosa.

Barbara Ronchi è molto brava, e sin dalla prima inquadratura, nella quale rompe la quarta parete, usa bene il suo sguardo profondissimo: era rischioso affidare un film a un’attrice sola, ma se ne è trovata una in grado di reggere l’impegno.

La mesta stagione del thriller italiano

Abbastanza spesso escono film italiani “diversi”, per lo più d’azione: una buona notizia, rivelatrice della volontà di uscire dal pantano delle solite ciarle di Comencini-Luchetti-Moretti-Golino interpretate dalle solite facce rinchiuse nei soliti salotti, Favino che gigioneggia e Gassman jr. che fa il tormentato e Giallini che blatera in romanesco e Fresi invariabilmente imbarazzante e Timi che deglutisce e Germano che lasciamo perdere e la Buy che strilla e la Rohrwacher che sbrocca e la Ramazzotti che dà di matto. La “new wave” dei thriller italiani però, terminata la stagione felice (e brevissima) dei film grandi e audaci alla Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento, ha virato presto verso uno scadimento quasi verticale: da La belva con Fabrizio Gifuni, patetica imitazione di John Wick e dei film d’azione con Liam Neeson, al duello non proprio a livelli altissimi fra Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio (non proprio Ernest Borgnine contro Lee Marvin) in Delta; dal figlio di papà Pietro Castellitto (che non è Al Pacino) che ha fatto ridere mezza Italia atteggiandosi a gangster innamorato di Benedetta Porcaroli (che non è Michelle Pfeiffer) in Enea, a questo Non riattaccare. Che è il migliore tra i film menzionati: ed è pur sempre un thriller di un’ora e mezza che riesce a essere noioso.

Incontro a Milano con protagonista e regista

Barbara Ronchi e il regista, Manfredi Lucibello (protégé dei Manetti bros., che gli hanno prodotto anche il debutto, Tutte le mie notti), hanno presentato il film al pubblico milanese in una serata di luglio al cinema Palestrina, dalla platea semideserta. Gentili e simpatici, avrebbero meritato un pubblico più folto e accogliente: ma il film vale poco. Ronchi e Lucibello hanno raccontato la difficoltà del girare di notte, quasi improvvisando gli scambi della protagonista con una voce che sarebbe stata registrata in un secondo momento. Alla domanda dello scrivente, Ronchi ha detto di non essersi immedesimata in Irene, ma di aver provato affetto per il personaggio.

Tommaso de Brabant

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