Roma, 21 lug – Che la popolazione umana da qui a trent’anni vada verso il meglio, è tutto da dimostrare. In fondo sono in pochi a credere che il progresso corrisponda a un avanzamento sul piano culturale, morale o semplicemente umano. Tutto tende a ridursi a interessi di bottega o piccole distrazioni fini a se stesse.
L’imminente fine del mondo
Silvia Valerio, già autrice di vari romanzi, nel suo recente Neanche fosse la fine del mondo (Il cavallo alato, 88 pp., 9€) immagina cosa succederebbe se nel 2050 arrivasse la (falsa) notizia dell’imminente fine del mondo. Quello che ne risulta è una tragicommedia sostanzialmente scandita da piccoli episodi di straordinaria follia, che per certi versi ricordano certi film grotteschi tipici della commedia all’italiana.
Umanità assopita dal consumismo
La paura che tutto crolli, che tutto finisca in una bolla di sapone, che domani non ci sia più domani, rimette in agitazione un’umanità estenuata, oramai assorbita e assopita dal consumismo e incapace di trovare una via di scampo costruttiva. Da una narrazione che si mantiene ironica, satirica e agile, emerge però una deprimente assenza di luce, la prospettiva cioè che qualora suonasse il pericolo finale, gli esseri umani di oggi e domani non saprebbero vedere una luce alla fine del tunnel, e men che meno accendere un lumicino per aprirsi una vita.
“Pace, fratellanza” e nessun legame culturale
Ovviamente tutto ha inizio di fronte a uno schermo televisivo per poi allargarsi a macchia d’olio, per travolgere la massaia come il professore, spingendo tutti a comportamenti assurdi, o meglio perfettamente giustificati dall’assenza di legami affettivi e culturali dei tempi attuali. Eccoli allora: «Pace. Fratellanza. Amore reciproco. Tolleranza. Erano loro, sì, gli stessi che se ne riempivano la bocca poche ore prima, gli stessi che adesso la bocca la riempivano solo di guance, mani, avambracci, a forza di mordere a sangue, senza curarsi di età o sesso, senza pensare al castigo, lasciando il segno».
Il mondo è già spento da un pezzo
I figli distorti di Hobbes darebbero quindi sfogo alla legge dell’homo homini lupus, scatenando la foga liberale sui propri simili, pur di non sentirsi messi da parte, pur di assicurarsi un posto a sedere nello spettacolo avvilente di un mondo che si spegne. Tutto per non accorgersi che, stando così le cose, questo mondo è già spento da un pezzo e meriterebbe molto di meglio.
Francesco Boco