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Naufragio in Libia: le fake news vanno smontate con serietà. O si fa solo il gioco del nemico

by Carlomanno Adinolfi
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Roma, 2 lug – “Tutto ciò che sai è falso” diceva un decennio fa un testo propagandistico della sinistra no global. Una frase che esplicita una filosofia a tratti affascinante ma che cela anche rischi di approccio alla realtà spesso controproducenti. Se da un lato è sempre giusto essere consapevoli che tutte le notizie mainstream che ci arrivano sono filtrate dai poteri politici ed economici che sono dietro ai media, o che semplicemente li finanziano, non bisogna tuttavia cadere nell’estremo opposto, ovvero quello di voler per forza cercare il complottismo forzato. Il rischio è quello di cadere in bufale ancor più grossolane e di generare l’esatto opposto di quello che si vuole perseguire, ovvero aumentare il pantano di fake news e soprattutto rendere meno credibili le eventuali battaglie di controinformazione, facendo passare per sciocco complottismo ogni tentativo di alternatività e soprattutto facendo un grandissimo favore ai media ufficiali.

L’era di Facebook ha poi creato un vortice ancor più impazzito grazie alle cosiddette “trollate” – le notizie false messe provocatoriamente – a cui purtroppo la stragrande maggioranza delle persone crede, alimentando una catena di evidenti fake che servono solo a fare da scudo alle notizie ufficiali. In questi giorni evidente è il caso della notizia del naufragio in Libia del gommone con 100 morti tra cui tre bambini poco più che neonati. E mentre il mondo demo-progressista accusa Salvini come mandante morale e l’Italia come male assoluto razzista su cui deve ricadere tutta la colpa della strage, purtroppo gran parte della cosiddetta area identitaria/sovranista è caduta nella trappola di dimostrare la fake news. Per carità, nulla di grave a cercare un minimo di attendibilità in una notizia che nasce di per sé molto strana vista la tempistica – guarda caso i morti e le stragi avvengono solo quando fa comodo rivendicarle politicamente – ma l’operazione di “debunking” ovvero di smontare le fake news deve essere fatta scientificamente e con serietà, altrimenti molto meglio non farla.

Cercare di dimostrare che i tre corpi di bambini sono semplici bambolotti solo perché “lo sembrano” non può essere una battaglia politica da portare avanti. Ognuno può pensare che lo siano per mille motivi, ma non è possibile basare la propria comunicazione politica solo nel cercare di dimostrare una convinzione che non può avere basi scientifiche. Certo, i tre bambini sono bianchi mentre quasi tutti i cadaveri adulti mostrati sono neri, ma non li abbiamo visti tutti quindi anche questa non è una prova scientifica che possa essere usata. E poi ovviamente ci sono i troll che mostrano un fin troppo evidente fotomontaggio con i volontari in un set cinematografico: purtroppo ci sono quelli che ci cascano, condividendo convinti un fotomontaggio fatto al massimo con paint dicendo di aver trovato la prova della bugia.

Il risultato? Che tutti i “populisti” passano per cinici, insensibili e soprattutto come propagatori di fake news anche di fronte alla morte di tre bambini innocenti e, soprattutto, nessuno più crederà mai a un debunking della notizia che oramai è vera per tutti.
Eppure bastava veramente poco per evidenziare la colpa inappellabile proprio di chi ha fatto girare la notizia per i propri scopi politici: ammettere che fosse vera e analizzarla.
Cento persone ammassate su un gommone, un motore difettoso che prende fuoco a pochi minuti dalla partenza e una strage che avviene a 6 km dalla costa libica. Partiamo dal gommone e dal motore rotto. Se c’è gente che è capace di ammassare 100 persone, di cui 30 donne e 3 neonati su un gommone, è gente senza scrupoli e senza la minima intenzione di garantire sicurezza e dignità umana ai cosiddetti “migranti”. Figuriamoci se poi questa stessa gente li ammassa su un gommone difettoso, con un motore pronto a scoppiare dopo pochi minuti dalla partenza dalla costa.

Se c’è qualcuno che riesce a solidarizzare o a glorificare chi ha un comportamento criminale del genere, non può che essere egli stesso un criminale. Siamo arrivati all’assurdo per cui quelli che fino a qualche anno fa erano definiti scafisti e criminali ora vengono trattati alla stregua di operatori umanitari che vanno aiutati e magari finanziati. Passiamo ora all’ultimo elemento. Se una strage avviene a 6 km dalla costa libica, quale sarebbe la responsabilità italiana? Anche ammesso che tutti i porti fossero aperti con cortei festanti all’arrivo dei barconi, ciò avrebbe impedito al motore di incendiarsi a 6 km dalla Libia uccidendo 100 persone di cui tre quasi neonati? È una strumentalizzazione talmente palese e criminale da far impallidire anche il più cinico finto debunker che posta immagini di bambolotti, perché equivale esattamente al discorso folle di Edoardo Albinati che sperava morisse qualcuno della orami famosa Aquarius in mare pur di poter mettere in difficoltà il governo.

Certo, diranno, se ci fosse stata più collaborazione con la marina militare italiana sarebbe stato più difficile avere morti in mare. Ma al di là del fatto che è una bufala enorme – i dati parlano chiaramente del fatto che i morti in mare sono aumentati proprio durante le missioni Triton e successive – resta il fatto che l’incidente è avvenuto all’interno delle acque territoriali libiche e ben lontano dalla zona di possibile azione italiana. A meno che non ci sia un trattato bilaterale con un’azione congiunta italo-libica che però è proprio quello su cui spinge Salvini e che proprio ong, scafisti e democratici vari cercano di evitare. E, soprattutto, se a causa della politica razzista xenofoba eccetera eccetera del nuovo governo è così difficile andare in mare, cosa è chi prova comunque a forzare la mano proprio sulla pelle di immigrati, poveri ragazzi che fuggono dalla guerra, donne e bambini neonati? Noi lo sappiamo: è un criminale. Ed è questo che dobbiamo affermare con forza, non certo cercare bambolotti che alla fine serviranno solo a mettere un’ulteriore aureola in testa ai più grandi stragisti degli ultimi anni.

Carlomanno Adinolfi

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1 commento

blackwater 2 Luglio 2018 - 4:33

sui “salvataggi” in mare ad opera delle ONG, si trascura sempre un aspetto tecnico;
50 nodi in mare incominciano ad essere già una bella velocità (circa 92 km/h stradali) quindi l’idea
di poter effettivamente ed efficacemente intervenire come nel caso suindicato (barca che prende fuoco e persone senza salvagente in acqua) appartiene al mondo dei sogni, purtroppo.
ergo: NESSUNA “nave” ONG possiede la velocità per arrivare in tempo utile quando disgraziatamente avviene un naufragio (almeno di non essere già sul posto in attesa dei barconi) e come dimostrato dalle migliaia di morti “pre-salviniani” anche l’essere già sul posto non garantisce affatto esito positivo nelle operazioni di soccorso.
altro discorso ancora riguarda poi le capacità operative SAR del personale ONG, professionalità che ovviamente non si improvvisa,specie se si proviene dall’ambiente “punkabestia” come quel colorito tedesco crestamunito…

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