Roma, 29 lug – Il 29 luglio 1883 nasceva Benito Mussolini, un nome e un cognome che è vietato pronunciare quasi ovunque, se non su queste pagine, ancora non colpite da censura. Praticamente vietato è anche annoverare il Mussolini stesso come uno dei più grandi italiani degli ultimi due secoli (se non il più rilevante, senza timore di dover sembrare presuntuosi). Negli stessi ambienti d’area, il nome del Duce non viene neanche inflazionato troppo, considerando il peso enorme che riveste. Forse per non sembrare troppo banali: in fin dei conti, per lungo tempo si è sostenuto (e si sostiene ancora) che il fascismo sia stato Mussolini e poco altro. A prescindere da questi dibattiti, per la nascita del più grande italiano degli ultimi due secoli abbiamo pensato di ricordare un suo lato poco conosciuto o diffuso: quello di una storia d’amore che la futura guida del popolo italiano “vive” per la sua terra tra il 1915 e il 1917. Ovvero da quando parte volontario per la Grande Guerra e comincia a parlare di ciò che non aveva mai descritto in modo così compiuto: l’Italia.
Il giovane Mussolini scopre la Patria e l’Italia: quei diari colmi di amore di bellezza
Qualcuno dirà che – essendo pubblicati su Il Popolo d’Italia – si sia trattato qualcosa di artefatto. Futile sottolineare come non sia così, ma in ogni caso del diario di guerra di Mussolini è rilevante un percorso quasi ineluttabile dall’ordinario al poetico. Perché gli scritti del futuro Duce diventano, andando avanti nella lettura, delle vere e proprie poesie d’amore per la propria terra e per i propri compagni. Forse la sinistra ha conquistato la cultura in Italia anche così: appropriandosi del monopolio dei buoni sentimenti e dell’amore stesso, lasciando “a destra” valori senz’altro positivi come l’onore e il coraggio ma quasi sempre accoppiati alla violenza e alle angherie.
Il diario di Mussolini in guerra è una manifestazione d’amore per l’Italia. Tra le più fulgide che la letteratura italiana abbia mai testimoniato, ancorché non diffusa né approfondita a dovere. Il bersagliere Mussolini, undicesima divisione del corpo, parte nei suoi racconti in modo canonico ma ugualmente interessante, scrivendo così il 9 settembre del 1915: “Da stamani circola la notizia della nostra prossima, quasi immediata partenza per la linea del fuoco. Dove andiamo? Nessuno lo sa dire con esattezza. Non importa. L’essenziale è di muoversi“. L’interesse, palese, è per la voglia di agire. La stessa che aveva portato l’ex-direttore de l’Avanti! ad essere cacciato dal Partito socialista e a rassegnare le dimissioni dalla guida del giornale.
Un po’ meno canonico il Mussolini risulta quando, il 14 settembre, inizia a descrivere la bellezza della sua terra: “I mei amici gridano: Viva l’Italia! Attraversiamo la campagna bresciana. Vaste distese di verde che impallidisce sotto il sole autunnale. Lago di Garda. Non l’ho mai visto così bello!“, come di simile valutazione è la condivisione della lotta: “La vita di rischi continui lega le anime. Più che superiori, gli ufficiali mi appaiono come fratelli. È bello!”
Appassionata, nei primi mesi di guerra, anche una menzione a Filippo Corridoni (su cui avrebbe scritto un elogio anche su Il Popolo d’Italia), morto il 23 ottobre “sul campo di battaglia. Onore a lui!“. Il Mussolini che la “storiografia fotografica” ricorda come un truce sguardo fisso sull’obiettivo ha nella primavera successiva, il 15 maggio, anche il tempo di parlare di fratellanza e di amicizia: “Ho trascorso un pomeriggio pieno di gioia e di schietta fraternità. Alcuni soldati minatori del 5° Genio mi hanno invitato a un amicale simposio nel loro accantonamento che è a due passi dal nostro. I commilitoni del Genio ci hanno preparato un banchetto quasi sontuoso. Ho trascorso sette ore bellissime. Abbiamo parlato di guerra, di politica, di vittoria. Alla fine, per suggellare il ricordo della bella giornata e il vincolo nuovo dell’amicizia, ci siamo scambiati dei messaggi”.
E poi, agli albori del 1917: “Nel pomeriggio un sole pallido schiarisce l’orizzonte. La partenza è fissata per stasera. C’è l’ordine. Si compie oggi il mio primo mese di trincea sul Carso. Io saluto il 1916 che muore e il 1917 che comincia: Viva l’Italia!”. Il 20 gennaio del nuovo anno, su quelle pagine scorrono parole ancora più profonde: “Ripasso l’Isonzo. Emozione. Grande fiume ceruleo. Sulle vie del Tevere è nata l’Italia, sulle vie dell’Isonzo è rinata. Pieris. Ancora popolata di donne e bambini.” In questa frase c’è tutto: la radice, la stirpe, l’amore e il sentimento. Gli ultimi due sono aspetti di cui la sinistra si appropria e la cosiddetta “destra” gli lascia prendere, da sempre.
La “conversione”
È ovviamente impossibile racchiudere tutti gli scritti del bersagliere Benito in questo articolo. L’invito è a recuperare Il mio diario di guerra (1915-1917), edito nel 1923 e recentemente pubblicato con la cura di un grande storico della Grande Guerra quale Mario Isnenghi. In ogni caso, in questa sede basti riflettere su quanto il Mussolini socialista non abbia quella forza interpretativa né quel sentimento profondo per l’Italia. Non ancora, per lo meno. Perché quel Mussolini si concentra su un approccio rivoluzionario che sarà sempre nelle sue corde, così come la sensibilità ai temi socialisti, ma la parola “Italia”, in generale, viene pronunciata poco. Dopo la rottura col partito e la partenza per il fronte, qualcosa cambia. Non abbiamo idea di cosa sia, perché nessuno legge nel pensiero, e chi la interpreta come una questione strumentale non sostiene qualcosa di granché interessante: che Mussolini fosse un pragmatico non è certamente una notizia, il fatto che abbia accettato denari provenienti da oltremanica per farsi finanziare negli anni successivi significa poco o nulla. Con quei denari, Benito costruì la sua rivoluzione. E fu anzitutto una rivoluzione patriottica. Accolta a braccia aperte dalla stragrande maggioranza degli italiani. Un’idea di Patria che probabilmente nasce sull’Isonzo, a Caporetto, tra le bombe e il sangue. Un sangue profondamente italiano, aggettivo che sostituisce qualsiasi altro: da “europeo” a “tedesco”, “americano”, “russo” o “cinese” che dir si voglia.
Stelio Fergola