Roma, 24 set – Duemila voli cancellati in tutta Europa con conseguenti disagi per oltre 400 mila passeggeri. Un piano di cancellazione che non risparmia gli scali italiani: come risulta dall’elenco che l’azienda ha pubblicato sul proprio sito, in totale saranno 702 i voli che la compagnia irlandese cancellerà da e per l’Italia sino al 28 ottobre. Sono questi alcuni dei numeri del caos che sta coinvolgendo Ryanair, che fino alla fine del mese di ottobre, annullerà circa 50 partenze al giorno dalle sue maggiori destinazioni.
Secondo le dichiarazioni rilasciate dai vertici della compagnia irlandese la decisione è stata presa “per migliorare la puntualità, scesa al di sotto dell’80% per una combinazione di ritardi e scioperi dei controllori di volo, e dell’impatto crescente delle assegnazioni di ferie a piloti ed equipaggio di cabina”. La compagnia stima che le richieste di rimborso arriveranno fino a 20 milioni di euro. Intanto la cancellazione dei voli trascina il titolo verso il basso, la compagnia aerea è arrivata a sfiorare una perdita del 5% sulla piazza di Londra, per poi riprendersi lievemente e attestarsi su una flessione del 2,5%.
Quello che sta vivendo Ryanair sembra essere un vero e proprio tracollo operativo. Le cause di questi gravi problemi sono molteplici ma possono essere ricondotte a un fattore comune legato al collasso del teorema dell’esasperazione della produttività e del feroce ribasso salariale alimentato dall’applicazione delle permissive regole irlandesi nel resto del continente. Adesso i nodi stanno venendo al pettine, e c’è poco da meravigliarsi che i piloti scappino dove vengono trattati meglio, e risulta sacrosanto che bisogni rispettare orari di servizio, riposi e ferie minime, che poi sono alla base delle tutele del lavoratore e delle regole di sicurezza valide in tutta Europa.
Il caso dovrebbe far riflettere sull’espansione dei vettori low cost in Italia, sia causa che effetto del disastro industriale dei nostri vettori, sull’applicazione del concetto di profitto esasperato a discapito delle condizioni di lavoro dei dipendenti e sulla mancanza di regole europee comuni, sacrificate sull’altare di un eccessivo liberismo. In pochi altri Paesi europei sono state letteralmente consegnate le chiavi di un settore industriale come hanno fatto i nostri governi alla compagnia di O’Leary, attraverso la rinuncia ad una politica industriale seria, la mancanza di regole uguali per tutti gli operatori e grazie ad un sistema di controllo indebolito. In mancanza di questi fattori la concorrenza è stata fatta non sulle capacità ma sul massimo sfruttamento e sull’elusione delle regole.
Ancora una volta sembra di fondamentale importanza l’intervento dello Stato per il rilancio delle grandi industrie nazionali, un sistema di normative uguali per tutti gli operatori e regole contro gli appalti e il dumping selvaggio. Accanto a un intervento pubblico e a regole comuni europee sembra mancare sempre più una classe dirigente e imprenditoriale capace. Imprenditoria che possa considerare il lavoro e l’impresa come missione per portare benessere alla comunità nazionale in termini di ricchezza, cultura, e crescita. In tempi della concretezza a scapito degli ideali, negli anni della finanza creativa, della razionalità spietata che non crede alle utopie e che trasforma i propri errori in titoli tossici e in delocalizzazione, finendo poi per addebitare il proprio conto sulle generazioni future il caso Ryanair sembra confermare la necessità e l’urgenza per una nuova via.
Daniele Ravizza