Roma, 27 nov – “È la storia di una società che precipita e che mentre sta precipitando si ripete per farsi coraggio fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene…“. Conosciamo tutti la battuta finale, quella del film “La Haine – L’Odio” del 1995. Fin qui tutto bene, fin quando almeno la “banlieue” è stata trattata come un caso esotico, come un qualcosa con cui riempirsi la bocca di belle parole – o perfino slogan – mentre nello zoo De Thoiry continua lo spettacolo. Ora che però Corvetto a Milano si risveglia nella rabbia dei maranza, quell’atterraggio sembra sempre più vicino.
Milano, la “banlieue” di Corvetto
Sono stati i Carabinieri. Basta un attimo a trasformare un quartiere in un’esplosione di rabbia. Una “rabbia spontanea”, come dice Il Corriere della Sera, che però sembra più che altro indotta, voluta, cercata. Indotta dal “Sistema per uccidere i popoli“, come lo definì Guillaume Faye, d’altronde “come designare questa vasta impresa planetaria di massificazione e spersonalizzazione?“. Voluta dagli sponsor del villaggio globale, da quella società liberale che si persuade di aver costruito un mondo di prosperità, di liberazione e di progresso mentre la realtà sociale lascia trasparire un ambiente anorganico: morto, senza vita interiore, più simile ad un macchinario che ad un organismo in crescita. Cercata da loro, i “maranza”, i “subalterni” – come li chiamano a sinistra della sinistra – gli agenti attivi di un dinamismo conflittuale che esiste schiacciato dentro i quartieri pentola, sempre pronta ad esplodere appena tolto il coperchio del quieto vivere. Sono anni che si ripete come anche le periferie italiane – in questo caso milanesi – possano diventare da un momento all’altro lo scenario delle banlieue parigine. Quelle dell’Odio e di Athena. Quelle che abbiamo visto solo in televisione. L’integrazione tanto agognata è finalmente realtà, con un ribaltone però: l’Italia si è adattata all’altro, non il contrario. Abbiamo uomini che occupano spazi morti, residenti che si situano su una scacchiera; il loro “indirizzo” non ha nulla di un luogo, sono piuttosto coordinate cartesiane dello smarrimento. Città dormitorio perennemente in affitto, centri storici trasformati in bomboniere turistiche, quartieri campi profughi. Ci siamo integrati perfettamente al non-luogo globale. E come tutti i popoli “delocalizzati” che hanno perduto il senso del tempo e della storia, siamo condannati a perdere la nostra terra. Un Corvetto alla volta.
Contro il sistema
Roghi e cariche. Spettacolo destinato a ripetersi. Oggi per Ramy Elgaml, poi il prossimo. Non piangiamo certo per la sommossa o per un ordine che non è certo quello rappresentato da Questure e camionette. Chi accende di fiamme le notti milanesi non lo fa certo per la Schlein o Fratoianni. Loro sì, invece credono alle seconde e terze generazioni: è la sinistra che sogna il suo esercito elettorale alla francese, il grande Fronte Popolare da contrappore al “patriarcato bianco“. Viviamo in una società che abolendo razzismo dal vocabolario ha creato una delle società più razziste che siano mai esistite: quella dove non importa il colore della pelle, si è tutti ugualmente nulla. “La sola posizione veramente rivoluzionaria – ricorda ancora Faye – che possa affermarsi contro il Sistema non può giungere dalle vecchie ideologie egualitarie; è invece quella propria a coloro che contestano il suo fondamento, le sue basi etiche ed ideologiche, la sua genealogia, a coloro che affermano la causa dei popoli contro una società mondiale standardizzata“. Come scrisse Carl Schmitt l’essenza di un popolo è il movimento: ma non il movimento nomade, bensì il movimento di un progetto storico, movimento di una mobilitazione nazionale, movimento di una direzione politica, movimento di un ideale sociale, movimento di una conquista tecnica del mondo. Di fronte a questi eventi insomma non bisogna rimanere fermi, ma muoversi nella direzione di una riconquista.
Sergio Filacchioni