Roma, 14 apr – Viva sempre Sinisa Mihajlovic, uno che nel paludato calcio dei giorni nostri riesce ancora a dire qualcosa di sensato e a mostrare brandelli di autenticità. E pazienza se un Berlusconi ormai in pieno delirio senile lo ha fatto fuori, preferendogli un Brocchi in modalità Bertolaso (sperando che l’ex calciatore, almeno, non ci metta del suo per accelerare la propria fine, come invece ha sin da subito fatto l’ex presidente della Protezione civile). Non piace ai commentatori alla Zazzaroni, Mihajlovic, e piacerà ancora meno dopo l’ultima uscita, ai microfoni di Striscia la Notizia: “Io non sono razzista, ma penso che le donne non dovrebbero parlare di calcio perché non sono adatte”.
Il riferimento è a Melissa Satta, che durante la trasmissione televisiva “Tiki Taka” aveva confermato i malumori della squadra rossonera: “Al Milan non c’era tranquillità, Brocchi è un grande uomo. Con lui ci sarà serenità”. La showgirl non stava facendo una sua valutazione: compagna del rossonero Kevin-Prince Boateng, stava evidentemente riportando degli umori dallo spogliatoio. Umori che, tuttavia, è lì che dovevano stare: nello spogliatoio. Concetto difficile da capire, per i fan di un calcio panottico e rieducato, in cui tutto deve essere portato alla luce e tutto deve essere giudicato secondo i canoni del moralismo universale. Anche ai tempi della querelle Sarri-Mancini, molto più del presunto “insulto omofobo” del tecnico del Napoli, ciò che indignò gli opinionisti fu quel “sono cose di campo” detto dal mister per giustificarsi. La decostruzione del calcio – che è un potente vettore simbolico, ben al di là della prosaicità dei risultati e delle passioni da tifoso – passa esattamente per la lotta a questa dimensione di segreto che circonda e deve circondare il campo e lo spogliatoio.
Ma che esistano luoghi e dimensioni che si sottraggono alla nostra voglia di vedere e giudicare è cosa ritenuta insopportabile, oggi. Ecco perché la Satta che spiattella i segreti dello spogliatoio è in fase con il suo tempo mentre Mihajlovic passa per reprobo. Eppure, se il calcio ha un senso, Mihajlovic ha ragione e la Satta ha torto. E, parlando, la showgirl ha dato ragione al tecnico, che le ha intimato di non parlare. Il calcio, o quel che ne resta, è una comunità virile. L’espressione è forte, ma va intesa in senso sociologico, non “valoriale”: non è che i calciatori siano dei guerrieri (spesso sono più conformisti della media, se è per questo), è solo che questo sport sviluppa determinate dinamiche relazionali. La donna ne è naturalmente esclusa, come lo sono le mamme durante gli allenamenti delle giovanili (dove, tuttavia, crescente è l’invadenza dell’elemento materno, con i risultati che sappiamo).
Lo spogliatoio è il luogo in cui un ragazzino impara a stare con i suoi coetanei, a badare a se stesso, a rispettare delle regole di gruppo, a gestirsi da solo, a prendersi delle responsabilità. Ne sono bandite le mamme, le fidanzate, le mogli, le figlie. E anche sugli spalti, è solo nella retorica alla Varriale che il calcio diventa un elemento “per famiglie”, laddove invece esso è il territorio della filiazione maschile, del padre che insegna una passione al figlio, degli uomini che si comportano da uomini, in senso sia alto che basso. Non è misoginia d’accatto, è solo che le donne hanno modalità relazionali e simboliche differenti. Ma dire questo è già blasfemo, in un mondo in cui tutto vale tutto, tutto è per tutti, tutti possono andare dappertutto, tutti parlano di tutto e alla fine tutto non vale più niente.
Adriano Scianca
2 comments
Splendido!
Tutti hanno facoltà di parola, solo che sono pochi coloro che hanno veramente qualcosa da dire. La maggioranza emette fiato o grugniti dalla bocca, mentre alcune donne, più fortunate, esibiscono solo belle gambe.