Ginevra, 7 giu – Dopo oltre due anni di manutenzione e potenziamento, il Large Hadron Collider (LHC) del Cern, l’acceleratore di particelle elementari più potente del mondo, è ripartito in questi giorni con le collisioni all’energia più grande mai osservata, 13 Tera ElettronVolt (TeV), cioè l’energia acquisita da un elettrone accelerato attraverso una differenza di potenziale pari a 13 mila miliardi di Volt. Per avere una minima idea di cosa si parla, consideriamo che la tensione della rete elettrica a casa è 220 Volt…
I fisici del centro europeo per le ricerche nucleari, appunto il Cern diretto dall’italiana Fabiola Gianotti, stanno ora letteralmente impazzendo per l’eccitazione, dato che un’energia di collisione così alta – circa doppia rispetto alla fase precedente – promette nuove fondamentali scoperte.
“Con l’LHC di nuovo in funzione, celebriamo la fine di due mesi di sistemazione del fascio [di particelle]”. Ha dichiarato il direttore degli acceleratori e della tecnologia del Cern, Frédérick Bordry. “È un grande risultato e un premio per tutti i team coinvolti in questo enorme lavoro”.
I fasci sono costituiti da “treni” di protoni (le particelle “pesanti” a carica positiva che costituiscono i nuclei degli atomi insieme ai neutroni) in moto quasi alla velocità della luce lungo i 27 km dell’anello del LHC, suddivisi in pacchetti lungo direzioni opposte, guidati da potentissimi magneti superconduttori. Le prime collisioni sono state ottenute con sei pacchetti ciascuno costituito da 100 miliardi di protoni, ma progressivamente si arriverà fino a 2808 pacchetti per fascio, consentendo al LHC di produrre fino a un miliardo di collisioni al secondo.
Nel corso della prima fase del PHC, gli sperimenti denominati Atlas e Cms consentirono di annunciare la scoperta del bosone di Higgs, le particelle responsabili – secondo il modello standard della fisica – dell’assegnazione della massa a tutte le particelle visibili del nostro universo.
Sebbene quella stessa scoperta non sia mai stata completamente verificata, né lo stesso modello standard sia esente da problemi di fondo, i fisici delle particelle ora ambiscono a esplorare ulteriormente il medesimo modello o perfino a superarlo nel caso in cui si riesca a spiegare misteri irrisolti quale la materia oscura, costituente circa un quarto dell’universo ma quasi priva di interazioni con le particelle della materia ordinaria e con la luce, nonché il mistero dell’evidente preferenza della natura per la materia rispetto all’antimateria.
“Siamo terribilmente eccitati ora che è iniziata la nuova fase,”, ha affermato il portavoce di una parte degli esperimenti del LHC, Guy Wilkinson, che aggiunge: “Ci permetterà di proseguire il completamento del puzzle avviato con la prima fase, e di valutare con maggiore sensibilità la differenza di comportamento tra la materia e l’antimateria”.
Parliamo degli stessi “misteri” che in un altro settore non meno importante della fisica – l’astrofisica – si pretende di aver aggredito con un certo successo, in parte sulla materia (ed energia) oscura, ma soprattutto sul puzzle materia/antimateria, in relazione al quale sarebbe stato individuato un bizzarro campo magnetico primordiale di forma elicoidale, in pratica “arrotolato” intorno a una direzione privilegiata dello spazio creatasi fin dai primi attimi del Big Bang, la cui transizione dalla originale rotazione destrorsa a quella, definitiva, sinistrorsa, sarebbe stata all’origine della fatale transizione dalla generazione di antimateria a quella della materia ordinaria.
Proprio quest’ultima recentissima scoperta dei ricercatori dell’Università dell’Arizona a Temper sembrerebbe anche offrire una base di validazione a una teoria fisica cosmologica nata 35 anni fa in Russia sulla base di molti meno dati ma tanto cervello.
Sarà eccitante quindi anche verificare se le nuove scoperte promesse dai potentissimi fasci di particelle del Cern confermeranno o meno quanto rivelato dall’astrofisica e dalla fisica teorica.
Nel frattempo, qualcuno potrebbe essersi chiesto cosa esattamente hanno a che fare le spaventose energie dei protoni destinati alle collisioni nel LHC con le osservazioni astrofisiche. La risposta è: moltissimo.
Perché collisioni tra particelle dotate di energie dell’ordine dei 13 TeV potevano avvenire soltanto nei primi miliardesimi di miliardesimi di secondo dopo il Big Bang, proprio quell’infinitamente piccola ma fondamentale finestra temporale nella quale si generò anche il campo magnetico elicoidale le cui tracce sarebbero state individuate dagli astrofisici dell’Arizona.
Si tratta, insomma, di virtuali “macchine del tempo”, l’una – in astrofisica – che osserva campi e radiazioni originatesi all’alba dell’universo, l’altra – in fisica nucleare – che riproducendo le energie in gioco in quel lontanissimo momento cerca di ricostruire cosa vi avvenne.
Tre sono al momento le grandi questioni che la nuova fase ad altissima energia del LHC potrebbe risolvere.
La prima, la scoperta di nuovi leptoni, probabilmente della tipologia dei muoni, simili agli elettroni ma 200 volte più massivi.
La seconda, la spiegazione del motivo per cui il presunto bosone di Higgs avrebbe una massa molto più piccola di quella prevista dal modello standard della fisica (e, di più, se si tratta davvero di questa particella).
La terza, l’evidenza delle particelle costituenti la materia oscura, mai rivelate in laboratorio.
Tra un paio d’anni sapremo se gli esperimenti condotti da ora alla fine dell’anno – quando al posto dei protoni saranno utilizzati ioni pesanti – avranno dato risposte all’altezza degli sforzi profusi dai fisici.
Sempre che nel frattempo non si verifichino incidenti come quello – tuttora sostanzialmente avvolto nel mistero – che nel settembre 2008 bloccò per tre anni il mega-acceleratore costringendo anche a ridurne la potenza. Abbiamo qualche ragione di ritenere che incidenti di quel tipo possano purtroppo anche ripetersi, in modo apparentemente inspiegabile, e non per difetti strutturali oppure operativi ma per ragioni intrinseche alle spaventose correnti in gioco.
Francesco Meneguzzo