Roma, 2 mar – Mario Adinolfi bannato per 30 giorni da Facebook per un commento contro l’eutanasia circa la morte di Dj Fabo. Ora, al netto del personaggio in questione, o dell’argomento: non stupisce più nulla, è già da un po’ che su questo social network tira una brutta aria, che tutti ben conosciamo. Di seguito il post incriminato:
“Dj Fabo è morto. Ora la nostra domanda è semplice: speculando su questa tragedia, che legge volete? Volete il sistema svizzero, che sopprime un disabile a listino prezzi? Iniezione di pentobarbital, pratiche e funerale, diciottomila euro tutto incluso.Volete sfruttare l’onda emotiva per ottenere questa vergogna? Hitler almeno i disabili li eliminava gratis. No signori, voi non volete davvero dare allo Stato la possibilità di costruire un sistema in cui ci sia una finta “scelta” tra curare i sofferenti con centinaia di migliaia di euro all’anno o finirli con una iniezione di pentobarbital il cui principio attivo costa 13 euro. Non la volete la legge sull’eutanasia che hanno Belgio, Olanda e Lussemburgo che nel 2001 hanno soppresso 60 persone e nel 2016 oltre 15mila e non erano 15mila dj Fabo. Non fatevi fregare. Non volete l’inferno”.
Ora, la domanda sporge spontanea, esattamente, questo post, cos’ha che non va? L’eutanasia non è un argomento poi così controverso da essere offensivo. Non sembra che questo post inciti all’odio, né al suicidio, né al sesso, né alla violazione della privacy, del copyright eccetera eccetera… insomma, esattamente, dove sarebbe la violazione del codice di Facebook? Ad avere scatenato i benpensanti è stata la parola Hitler. Qui sorgono i primi sospetti: Adinolfi avrebbe fatto apologia di nazismo? Avrebbe preso le difese di Hitler? Leggendo questo post, è più che evidente che la frase Hitler almeno i disabili li eliminava gratis sia ironica, non sia certo una presa di difesa del programma di Hitler. E allora, perché il ban? Perché l’indignazione? La ragione è triste: è il nome stesso di Hitler a fare ancora paura. Questa società continua oggi come sempre ad investire Hitler e la seconda guerra mondiale della solita aura di trascendenza. Non un Hitler storico, ma un Hitler archetipico, eterno, pronto a “ritornare” ogni volta che il dogma globalista venga messo in discussione. Ecco che un Adinolfi, reo di aver usato una semplice reductio ad hitlerum in tono beffardo in un discorso che con il nazismo nulla centrava, viene bannato da Facebook. Il signor Adinolfi si è reso colpevole di un gravissimo crimine: aver nominato Hitler. Perché Hitler, nel pensiero unico occidentale, non deve essere mai nominato. O meglio, può essere nominato, ma solo nei termini permessi: e i termini permessi sono il ritorno del fascismo; l’odio; i muri; la società che si chiude in sé stessa; il razzismo; il privilegio; la violenza; la guerra; le armi; la gente che soffre; la memoria; i campi di concentramento; il male assoluto; “il fascismo si cura leggendo” e “il razzismo si cura viaggiando”.
Lo dicono i comandamenti non scritti del pensiero liberale: non nominare il nome di Hitler invano. Il pensiero di massa occidentale, oggi, permette di parlare di Hitler solo entro i canoni degli usi strumentali della memoria, di cui parlava il Preve. Cioè quelle specifiche forme mentali di propaganda che accusano della seconda guerra mondiale, e dell’olocausto, non il solo Hitler, ma gli stessi principi di nazionalità e di confini della nazione.Una strategia ben consolidata: utilizzare parole ripetute ad nauseam, come parole magiche, che evochino emozioni negative da associare al nemico dialettico. Così facendo, spostare ogni discorso sul piano delle emozioni, un terreno che per i propagandisti del diktat liberale è suntzuanamente un terreno vantaggioso: sul piano della razionalità, un concetto sbagliato è sempre sbagliato e un concetto giusto è sempre giusto, ma sul piano delle emozioni un concetto diventa giusto quando ripetuto cento volte da cento persone.
A quanto pare, il più popolare social network ha deciso di fare da terreno fertile per l’emotività fine a se stessa (posto che questa sia funzionale ad un determinato diktat). Ecco l’unica ragione del ban di Adinolfi, ecco l’unica sua colpa: l’avere pronunciato le parole magiche nel modo sbagliato.
Edoardo Pasolini