Roma, 3 mag – La Francia prova, come ha sempre fatto nella storia e in tempi più “recenti” con il mai dimenticato Charles De Gaulle, a guidare l’Europa al di fuori del cataclisma di nullità in cui si trova. Lo fa con dichiarazioni sicuramente “da grandeur”, tipici del suo modo di fare politica, incarnate in questo senso nelle ultime parole di Emmanuel Macron sul conflitto in Ucraina.
La Francia, l’Europa e la “difesa comune” (a guida francese)
Al netto del momento critico e di cosa possa o non possa accadere (ma di questo abbiamo già parlato), è evidente come tutta la politica dell’Eliseo, nel contesto di un’Europa completamente asservita agli Stati Uniti, sia quello di ritagliarsi dei “microspazi”. Che però sono tali nei riguardi degli “amici” oltreoceano e diventano “macro” nei confronti degli altri presunti “alleati” europei. Le virgolette non sono casuali ma tristemente ciniche. Una realtà che attualmente si regge su qualcosa che si chiama “asse franco tedesco” non può essere recepita con termini diversi da quelli della pura opportunità e della realpolitik, perché è l’espressione stessa ad essere un ossimoro, e trovo futile anche dover spiegare il perché. In ogni caso, Parigi ha sempre in testa quella vecchia idea: ovvero, diventare guida in Europa. Di una difesa comune (che comune non sarà mai, in quanto “diretta” con primazia da qualcuno) o di qualsiasi altro strumento che le consenta di avviare un progetto simile. Nel secolo scorso l’idea si scontrò con le utopie di chi allora – in modo più giustificabile di adesso – credeva che non si capisce bene come l’Europa potesse sussistere senza la guida di un Paese dominante o comunque a maggiore influenza sugli altri. Di conseguenza, crollò. Anche perché una realtà immaginifica ma mai realizzata è decisamente più comoda di una concreta (l’Europa guidata da qualcuno. per non essere ripetitivi) che, sapete com’è, potrebbe incidere sulla storia davvero…
Parigi ha ambizioni, a Roma si chiacchiera di favole
Se la Francia prova a guidare l’Europa, l’Italia…non si sa bene. Beninteso che un Paese che festeggia il 25 aprile e che non ha la minima diffusione di massa del suo orgoglio nazionale non sia in grado neanche di guidare sé stesso, figuriamoci gli altri, sarebbe sufficiente non dico comprendere come la Francia non abbia niente di diverso dagli Stati Uniti, dalla Cina, dalla Russia o da Vattelapesca (dove Vattelapesca è chiaramente la potenza di riferimento a cui ambire, ci sia consentita una minima comicità ignorante di bassissimo livello). Ma almeno rendersi conto che si tratti di un concorrente, concreto, presente come passato e futuro, e non di un alleato. Non sarebbe disprezzabile.
Come non è alleata – come punto di partenza, poi gli accordi si possono stringere con chiunque, ma è perfino sciocco doverlo sottolineare – la Germania e in generale nessuno nel confusissimo contesto europeo (sebbene ci sia da tracciare una differenza tra francesi e tedeschi: da un punto di vista geopolitico i secondi hanno altre propensioni “baltiche” che in qualche maniera rendono il conflitto con l’Italia “artificiale” o meglio generato dallo stesso carrozzone europeo, laddove Parigi sia geneticamente proiettata anche al Mediterraneo e a uno spazio che, per noi, resta vitale, ma che di sicuro non può essere “condiviso” con i transalpini schioccando le dita come se nulla fosse). Invece di chiacchierare di favolette, l’Italia dovrebbe pensare a rafforzare sé stessa, a guarire dai guai nazionali che si porta dietro da 80 anni, a iniziare per lo meno un processo di inversione di tendenza da quei traumi anche psicologici che l’hanno ridotta ad essere, di fatto, una larva.
Usando l’Europa per quello che è: un cazzo – scusate il francese, ogni riferimento all’Eliseo è voluto – di campo di battaglia. Invece si preferisce “saltare” la questione nazionale, probabilmente perché non è sufficiente interessante o semplice, affratellarsi forzatamente con chi fratello non è, con chi alla prima occasione utile è sempre pronto a fregarti: come in Libia, 2011, non 1494, per citare un anno a caso di secoli or sono, richiamanti alla “splendida” nazione divisa che tanto piace a molti ancora oggi: anche se lo spirito è esattamente lo stesso, in entrambe le occasioni. Ma anche come l‘altro ieri sulle questioni riguardanti i clandestini. Che dire, buona fortuna. Vuole essere un invito al raziocinio: c’è chi guarda al mondo reale.
Stelio Fergola