Pontedera, 23 dic – Una piccola città, Pontedera, in quel di Pisa: trentamila abitanti. Ci si sta bene, tutto ha un sapore domestico, ci sono scuole di ogni ordine e grado, molti studenti, dunque molta giovinezza, bei negozi, un variopinto passeggio serale sul Corso. Aggiungiamo che Pontedera gode anche di una certa notorietà nazionale come sede degli stabilimenti Piaggio (con annessi e connessi Agnelli, storie, storielle, pettegolezzi e qualche nostalgia per gli anni in cui gli imprenditori potevano avere tutti i difetti di questo mondo, ma avevano anche qualche qualità. Il “dopo” è stato un diluvio, non diciamo di che cosa).
Inoltre, tra queste mura, a parte artisti come Andrea Pisano, insigne scultore e architetto del Trecento, sono nati uomini politici di discreto rilievo: Giovanni Gronchi, sottosegretario all’Industria del primo governo Mussolini, democristiano non troppo inquinato e presidente della Repubblica dotato di un certo temperamento ; Lando Ferretti, fascistone, capo Ufficio Stampa del Duce e poi deputato del MSI; un altro Dc ancora e cioè il deputato Giovanni Togni, baffino cicciottello; infine, tanto per gradire, il parlamentare socialdemocratico Edgardo Lami Starnuti, Prima Repubblica d.o.c. Ma gli esercizi di ammirazione Pontedera se li merita per un altro motivo. E cioè perché ha allestito due mostre degne di figurare in una grande città e in rinomati spazi espositivi. Due rassegne per raccontare il Novecento, il “secolo breve” che non finisce mai. Di sicuro ce lo portiamo dietro e dentro, con ruggenti arrampicate al cielo tra sovraccarichi di idee, ideali e ideologie, frenetiche esplosioni creative dove provocazioni e paradossi tumultuosamente si abbracciano, inesausto, inesauribile tumulto di invenzioni, colori, immagini. Ecco: è come se i protagonisti dei primi trenta- quarant’anni del Ventesimo Secolo non ce la facessero a star dietro a un vorticoso di tutto-di più e ce la mettessero tutta per dar sfogo alla loro esaltazione vitale. Che è anche distruttiva, intendiamoci, ma, per parafrasare Ezra Pound, meglio gli “schianti” delle “lagne”.
Bene, il movimento che ha inaugurato il Novecento in tutto il ventaglio delle sue possibilità emotive/ espressive è il Futurismo, battezzato da Filippo Tommaso Marinetti sulle colonne del parigino “Le Figaro” il 20 febbraio 1909. Da lì parte tutto: ed è un passato talmente vivo che, avventurandoci nei suoi spazi, vien fatto di pensare, piuttosto, ad un “ritorno al futuro”. Ce lo raccontano, appunto, le due mostre pontederesi (aperte al pubblico fino al 18 aprile 2017), allestite nel nuovo spazio espositivo di palazzo Pretorio ( “Tutti in moto! Il mito della velocità in cento anni di arte”, a cura di Daniela Fonti e Filippo Bacci di Capaci) e nei locali del Museo Piaggio ( “ Futurismo, velocità e fotografia”, a cura di Giovanni Lista). L’occasione è da non perdere. Perché si “ritrova” un tempo che non è mai stato “perduto”: quello di decenni fermentanti di vita, in cui ogni azzardo, ogni scommessa sul futuro, ogni linguaggio spregiudicato/spericolato/ scandaloso, si proponevano esuberanti e frenetici, si facevano largo anche- preferibilmente?- a suon di provocazioni/invettive/cazzotti, chiedevano udienza e alla fine bisognava concedergliela. Aggressivo stile futurista? Proprio così. Ecco quello che “si vede” e “si sente”: il gioioso e chiassoso scoppiettio di un mondo che celebra la Modernità con un variare di linguaggi che non ha- non dà- tregua e che ti cattura con una voglia di stupire dietro cui c’è, comunque, il brillio dell’originalità.
Entri, guardi, viaggi: si parte dalla società ancora contadina di fine Ottocento, quella in cui si va a piedi, in carrozza, a cavallo, sulle locomotive sbuffanti che Carducci assimilava a “mostri” di ferro; per mare, affidandosi soprattutto a remi e vele; e in cielo magari con un aerostato che ti fa sognare la conquista dello spazio. Poi, ti lasci prendere dalla frenesia, ti tuffi nella velocità- biciclette, tram, automobili, motociclette, aeroplani-, balzi dentro il futuro, lo esprimi in tutti modi, riservando ogni tanto un pensierino nostalgico al passato, alla “lentezza” (rileggetevi il romanzo-elogio che le dedica Milan Kundera, ed. Adelphi), alla tradizione, al tempo “ciclico”. Quando si va veloci, è bello sostare, pensare e ripensare. In Mostra, anzi nelle due Mostre (è d’obbligo, ovviamente, comprare e conservare il catalogo edito da Bandecchi e Vivaldi, pp. 254, euro 25) viene raccontato tutto questo. E a conversare e a riflettere con te, grazie alle immagini che propiziano l’attenzione e stimolano memorie e fantasie, ci sono artisti come Fattori, Nomellini, Conti, Viani, Carrà, Depero, Severini, Balla, Ram, Thayaht, Dottori, Sironi, Russolo, Prampolini, Marini ecc. Di rado se ne vedono tanti- con tanti capolavori-, tutti insieme. E non ci sono soltanto tele e sculture, ma anche manifesti, opuscoli, fotografie, riviste, rarità bibliografiche, locandine cinematografiche, modellini di auto, moto, aerei ecc. In tutto, trecento “pezzi”. Insomma, una vera festa del Novecento, strabenedetto, stramaledetto, lunghissimo “secolo breve”.
Mario Bernardi Guardi