Roma, 9 apr – Mentre il Medio Oriente vive una fase di profonda trasformazione geopolitica, la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan si impone sempre più come attore centrale nello scacchiere siriano. Chi ha sempre sostenuto che il ruolo Turco nella guerra contro Assad fosse quello di “agente del caos” oggi trova conferma nelle parole schiette di Trump, che mette a nudo un’ipocrisia decennale.
La Turchia cala la maschera
Il ruolo turco nella progressiva estromissione di Bashar al-Assad dal potere in Siria si fa ogni giorno più evidente, e ciò che sorprende è il sostegno – implicito ma sempre meno velato – che Ankara sta ricevendo da parte degli Stati Uniti. Durante il suo recente viaggio a Washington, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sperava di rafforzare l’asse con il presidente Donald Trump su diversi fronti caldi: dalla questione dei dazi, alla guerra a Gaza, fino alla crescente influenza turca in Siria. Ma il bilancio della visita è stato deludente per Gerusalemme. Trump ha infatti ribadito con fermezza la propria stima nei confronti di Erdoğan, definendolo “una persona molto forte e intelligente” e aggiungendo: “Ha fatto qualcosa che nessun altro avrebbe potuto fare in Siria”. Trump si congratula con Erdogan per l’occupazione della Siria. “Mi sono congratulato con Erdogan per la presa della Siria attraverso i suoi agenti”, ha detto Trump nella sala ovale.
Erdogan si prende il merito della caduta di Assad
Trump ha sottolineato che “dobbiamo dargli merito” e si è detto convinto che eventuali tensioni tra Israele e Turchia possano essere facilmente risolte, a patto che vi sia “ragionevolezza sulla Siria”. Questo approccio ha lasciato Netanyahu in una posizione scomoda. Tornato in patria, il premier israeliano ha dovuto moderare i toni: “Non vogliamo trovarci faccia a faccia con la Turchia in Siria”, ha dichiarato, riconoscendo de facto il nuovo equilibrio regionale. Il nodo centrale è rappresentato dalla base aerea siriana T4, nella provincia di Homs. Israele, che osserva con crescente preoccupazione le mosse turche, ha bombardato recentemente tre basi militari in Siria, compresa proprio la T4. Questi raid sono avvenuti prima che Ankara potesse completare il dispiegamento dei suoi assetti militari, tra cui un sistema di difesa aerea Hisar. La Turchia, infatti, sta negoziando con il nuovo governo siriano un accordo di difesa che prevede la protezione dello spazio aereo e delle infrastrutture strategiche siriane, in cambio del consolidamento della propria presenza nell’area.
Le preoccupazioni israeliane
Gerusalemme non nasconde la sua inquietudine. Il ministro degli Esteri israeliano ha accusato Ankara di voler creare un vero e proprio protettorato turco in Siria, ai confini con Israele, e di sostenere milizie sunnite ostili. Tuttavia, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha replicato affermando che la Turchia “non cerca alcun confronto con Israele in Siria”. In parallelo, Israele continua a fare pressioni su Washington per bloccare la vendita degli F-35 alla Turchia, timoroso che la superiorità militare qualitativa dello Stato ebraico possa essere minacciata dal rientro di Ankara nel consorzio produttivo dei caccia. Ankara era stata esclusa dal programma dopo aver acquistato i sistemi russi S-400, ma ora la Casa Bianca sembra disposta a riaprire il dialogo. Trump ha chiarito che per gli Stati Uniti, la Turchia è un alleato prezioso anche per contenere l’Iran, stabilizzare la Siria e tenere sotto controllo il fragile equilibrio interno del nuovo governo siriano. Il suo feeling personale con Erdoğan non è solo diplomatico, ma strategico: Washington vede nella Turchia un ponte necessario per ridefinire l’assetto del Levante.
Gli Stati Uniti puntano sulla Turchia
È evidente ormai che l’asse israelo-americano non è più l’unico cardine della politica mediorientale degli Stati Uniti. La Turchia, grazie alla sua posizione geografica, alla sua forza militare e al pragmatismo di Erdoğan, ha riconquistato un ruolo che sembrava perduto dopo anni di tensioni con l’Occidente. Il tutto, mentre la Russia è concentrata su altri fronti e l’Iran è sotto pressione internazionale. Il quadro che emerge è quello di un Medio Oriente in cui Ankara diventa sempre più il fulcro della nuova stabilità regionale. La cacciata di Assad non è più una priorità ideologica, ma un fatto compiuto, gestito con astuzia e realpolitik da Erdoğan, con l’avallo di Trump. Israele è costretto ad adattarsi a questo nuovo scenario: il tempo in cui Gerusalemme poteva dettare unilateralmente le condizioni nella regione sembra essere tramontato. In definitiva, la Siria post-Assad ha un nuovo padrone: non più Teheran o Mosca, ma Ankara. E questa volta, con l’approvazione piena di Washington.
Verso una triplice intesa Turco-Americana-Israeliana?
I segnali sono ancora frammentari, ma tutti puntano nella stessa direzione: la nascita di una nuova triplice intesa tra Turchia, Stati Uniti e Israele, fondata non su un’alleanza dichiarata, ma su un’intesa strategica di fatto, cinica e fondata sulla realpolitik. Trump vede in Erdoğan un attore risolutivo per la Siria, un “leader forte” capace di portare a termine ciò che nessuno ha saputo concludere in oltre un decennio di conflitto. Israele, inizialmente ostile alla crescente presenza turca a ridosso dei propri confini, ha compreso che lo scontro frontale con Ankara sarebbe controproducente, specie ora che Washington ha scelto da che parte stare. Da qui, il cambio di tono di Netanyahu e la disponibilità a non ostacolare – almeno pubblicamente – l’espansione turca in Siria. In cambio, Israele potrebbe ottenere garanzie sulla propria sicurezza, una tregua provvisoria con Hamas mediata proprio dai turchi, e forse qualche concessione americana sul dossier iraniano o su quello palestinese. La Turchia, dal canto suo, si accrediterebbe come ago della bilancia tra le due potenze storicamente alleate, rafforzando il proprio status di potenza regionale insostituibile. Quella che sta prendendo forma non è un’alleanza romantica, ma una collaborazione triangolare che risponde a interessi convergenti: contenere l’Iran, gestire il post-Assad, spartirsi l’influenza sulla Siria, e ricomporre — anche solo temporaneamente — l’equilibrio in Medio Oriente.Una triplice intesa fondata su più di dieci anni di caos.
Sergio Filacchioni