Roma, 20 giu – Con la “linea rossa” del 1963 la rivalità Usa-Urss entra nella sua fase più matura. Questo sebbene l’espressione “guerra fredda” fosse ben precedente, appena successiva alla fine della seconda guerra mondiale. A coniarla, con indubbio acume ed intuito, il giornalista americano Walter Lipperman nel 1947, comprendendo già quanto gli “alleati per caso” sarebbero diventati non solo semplici nemici, ma rivali acerrimi per il dominio nel nuovo scacchiere globale costruito a Jalta. La novità di quella rivalità è che non sfociò mai in uno scontro diretto, come ben sappiamo. Inaugurando, forse, più un nuovo modo di competere tra potenze che non una fase storica a sé stante (più che di “guerra fredda”, alla luce degli sviluppi recenti, potremmo parlare di “prima guerra fredda”, a cui sono destinate a seguirne molte altre di concretizzazione recente: non solo quella classica tra Washington e Mosca ma anche quella tra americani e cinesi, blocco occidentale e Brics, eccetera).
Linea rossa Usa-Urss, l’accordo tra Krusciov e Kennedy
La crisi dei missili cubani era stata appena dell’ottobre del 1962, scatenando nelle sensibilità pubbliche una serie di timori più o meno concreti, ma di questo non tratteremo. Basti pensare che la questione generò un terremoto generazionale notevole. Alla luce di questo si legge l’idea del presidente americano John Fitzgerald Kennedy di proporre al leader sovietico Nikita Krusciov l’allestimento di una “linea rossa” Usa-Urss, allo scopo di disporre di una comunicazione diretta in caso di ulteriori crisi e scongiurare il rischio di fraintendimenti e – conseguentemente – eventuali scontri mortali, anche di natura nucleare. Era il 20 giugno 1963, quando i due firmarono l’accordo per una hot line alla conferenza di Ginevra. I russi lo chiamarono “telefono rosso”. Nei decenni successivi, ulteriori momenti di frizione non sarebbero certamente mancati. Su tutti la ben nota vicenda degli “Euromissili”, la cui possibile ricostituzione è stata anche rispolverata in anni recenti a causa della rinvigorita ostilità tra Washington e Mosca.
Il “telefono” nella cultura di massa e nel cinema
La questione suscitò da subito grosse suggestioni nella cultura popolare. Specialmente nell’emergente e sempre più diffuso cinema di intrattenimento, ma non solo. Già l’anno successivo, nel 1964, Stanley Kubrick dirige Peter Sellers in uno dei suoi supremi capolavori, ovvero Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, in cui il telefono rosso compare spesso, sebbene non visibile cromaticamente a causa del bianco e nero della pellicola. Un telefono che non era un telefono, a dirla tutta, ma piuttosto una telescrivente e oggi probabilmente una mail. La pellicola di Kubrick si conclude con l’olocausto nucleare, quindi fa parte delle storie “cattive”.
Poi ci sono quelle “buone”, in cui i dialoghi tra Washington e Mosca sono sempre diretti ma fanno da sfondo a una vicenda fortuita che mette in luce – sia pur nella fantasia – il rischio evidente di un’escalation basata su un’incomprensione. Del 1982 è Wargames. Giochi di guerra, interpretato da un giovanissimo Matthew Broderick, nei panni di un ragazzino appassionato di hackeraggi nella primordiale e ancora non disponibile al pubblico rete “internet” che già regolava le comunicazioni tra le due superpotenze. Una simulazione di guerra diventa possibilità di uno scontro vero a causa della partenza – sventata nel finale – dei missili balistici in grado di colpire il blocco sovietico e di generare – natrualmente – una risposta.
Le guerre “calde”
Impossibili da dimenticare i film – anche di scarsa qualità – che immaginano una guerra “calda”, cioè combattuta concretamente. Come Threads, del 1984, a tutti gli effetti un b-movie vista la qualità estremamente spartana, ma interessante per la descrizione apocalittica di immaginario attacco nucleare sovietico sul suolo americano. Dello stesso anno è Alba rossa, meno catastrofico ma di grande intrattenimento, interpretato tra i vari da Charlie Sheen e Patrick Swayze, che si figura sempre un attacco proveniente da Mosca ma di natura convenzionale.
La linea rossa prosegue ancora oggi. Anche se sarebbe più corretto parlare di “linee rosse”, visto il multipolarismo e la molteplicità degli attori in campo. Senza contare che, nonostante il caos nel cuore dell’Europa, ad essere al centro delle preoccupazioni americane, più che Mosca, sia Pechino. Ma questa è una storia da scrivere ancora. Quella “linea” inaugurata negli anni Sessanta, però, non fu semplicemente un accordo politico, ma la testimonianza di un’epoca e, soprattutto, un vero e proprio fattore di pedagogia generazionale.
Stelio Fergola