Roma, 22 mag – Fuori dall’euro, il disastro? Tutt’altro: è l’euro che impedisce la crescita, praticamente dimezzandola (se non peggio) per i paesi che lo adottano. Mentre chi è rimasto al di fuori della moneta unica non ha sofferto così tanto la recessione ma è sostanzialmente rimasto sui livelli precedenti.
Sono questi gli impietosi dati che emergono da una ricerca del Fondo monetario internazionale sui fondamentali macroeconomici dell’Ue. Lo studio analizza le performance dei Paesi europei dividendo fra chi ha mantenuto la propria moneta e chi invece è entrato nell’euro, distinguendo tra questi ultimi i tassi di crescita prima e dopo l’adozione della divisa comune. Il risultato è strabiliante (in negativo): chi ha scelto la strada della moneta unica ha assistito ad un tracollo della propria crescita, con la sola eccezione di Malta che però è statisticamente quasi irrilevante: nel complesso, si passa da una media annua del +3,27% ad una del +1,67%. Crescita dimezzata, perfino per la Germania. Escludendo Cipro la Slovacchia (entrati nel 2008 e 2009), il risultato peggiore è quello della Grecia, che dall’ingresso nell’euro ha una media addirittura negativa (da +2,45% a -0,06%), mentre l’Italia ha di fatto ridotto di quasi cinque volte le sue prospettive di sviluppo economico: crescevamo in media dell’1,4% prima del 1999, dopo quell’anno siamo passati ad un misero +0,3%.
E veniamo alle nazioni che hanno invece deciso di conservare la sovranità sulla propria banca centrale. Prima del 1999, il loro tasso medio di crescita era del 2,49%. E dopo la fatidica data, che avrebbe dovuto segnare la differenza tra chi aderiva all’euro e chi no? Praticamente uguale: +2,48%. Non è che, in fondo, il vero affare l’han fatto loro?
Filippo Burla