Roma, 5 giu – Le sue “zlatanate” ci hanno fatto divertire, oltre alle sue infinite gesta sul campo di gioco. Zlatan Ibrahimovic dà il suo addio al calcio, ma non è una questione che può toccare soltanto i tifosi milanisti ma tutto il mondo sportivo italiano.
“È sempre stato il mio sogno” e altre zlatanate
Ibrah ci ha stupito con effetti speciali in una carriera spettacolare, fatta di dribbling, di reti fuori dal comune e…di salti costanti verso i contratti più onerosi. Non stiamo a fare i giudici morali – ed ipocriti – di un atteggiamento tenuto dal 99% dei professionisti per i quali il calcio, con tutte le diatribe sul tema, è comunque un lavoro. Fortunato, ma pur sempre un lavoro. Però le frasi di circostanza di Ibrah ogni qualvolta cambiava squadra – rigorosamente con uno stipendio più alto – ci hanno fatto ridere, è inutile negarlo. Hanno suscitato più volte l’ilarità dei tifosi di Juventus, Inter e Milan, se parliamo soltanto dell’universo italiano. Il sogno di bambino è sempre la squadra successiva. Che fenomeno, caro Zlatan. Ma a tuo modo, e in maniera paradossale, sei stato genuino. Non nascondendo mai di sentirti più forte degli altri e non peccando certamente di falsa modestia.
Sentirsi sempre il migliore
Le zlatanate sono zingarate, diciamolo pure. Che all’inizio potevano dare fastidio, col tempo sono diventate parti integranti di un personaggio divenuto perfino simpatico. Anche perché ad un certo punto ha cercato di cavalcarle con spiccata autoironia. Quando disse “sono il migliore al mondo” aggiungendoci “sono io che manco al Pallone d’Oro, non lui a me“, il mondo dello sport è venuto giù. La questione mediaticamente ha avuto il suo riscontro, come dimostrano le ospitate a Sanremo del campione svedese. Il quale in smoking, di tutto punto, si autocelebrava davanti al pubblico. Ormai consapevole del valore macchiettistico delle sue uscite ma ben risoluto a giocarci con leggerezza. Quanto al campo di gioco, è volutamente periferico in questo pezzo. Non è che ci sia molto da dire, se non di banale e di scontato: smette uno dei più grandi campioni della storia della Serie A. Uno dei pochi stranieri nettamente sopra la media, in un torneo ormai invaso da mezze cartucce dai cognomi spagnoleggianti e sudamericani (ma ormai anche asiatici e mediorientali) ad identificare calciatori mediocri o, nella migliore delle ipotesi, normali. Stranieri come Ibrah – che sono pochissimi e si contano sulle dita di una mano – fanno bene al nostro calcio. Tutti gli altri sono solo un danno.
Stelio Fergola