Roma, 16 set – È arrivato il tempo di salutare. Non sono più né redattore né vicedirettore de Il Primato Nazionale, giornale con cui ho lavorato per tre anni e per cui ho svolto un compito di direzione e gestione negli ultimi 12 mesi. Finisce un periodo che per me è stato emozionante, faticoso e probante al tempo stesso. Una fase in cui ho sempre percepito la presenza di tematiche e di questioni che avrebbero potuto dividere le nostre strade, questo va detto con onestà.
Una separazione inevitabile
Evitiamo di raccontare storielle in cui ci si arrampica a vicenda gli uni sugli altri: è stata una decisione pienamente condivisa. Non sono stato cacciato e non me ne sono andato. Forse, a voler essere perniciosi, ho detto un “no” finale, ma si tratta di una sfumatura. Tra me e l’editore c’è stata una chiacchierata del tutto franca in cui si è partiti perfino con un approccio propositivo: “Ci sono dei problemi, possiamo uscirne?”. Dopo qualche ora di dialogo, abbiamo convenuto che non era possibile.
La linea editoriale che il giornale si propone di seguire nel prossimo futuro, semplicemente, è del tutto incompatibile con quello che sono e che sono sempre stato. Delle differenze tra noi c’erano già nel 2021, quando mi assunsero. Il problema è che si sono approfondite: sull’Europa, sugli Stati Uniti, sull’Ucraina e la Russia, ma in realtà sulla stessa idea di Italia. E quando entra in gioco la parola “Italia”, almeno con me, si entra in un “campo minato”. Valore troppo importante, troppo decisivo, ma soprattutto troppo centrale.
Io ho delle idee, chi mi ha pubblicato in questi tre anni delle altre. Semplicemente. A di là del rapporto professionale e umano che è sempre stato corretto e soprattutto all’insegna della chiarezza. Su questo, davvero, non avrò mai nulla da dire. Io ho fatto il mio lavoro fino all’ultimo giorno, e ho intenzione di continuare a farlo fin quando mi sarà possibile. Ma i lidi non saranno questi.
I ringraziamenti al Primato Nazionale
All’editore e ai collaboratori che ho avuto in questi tre anni rivolgo comunque i miei ringraziamenti. Sono una persona che impara sempre, da qualsiasi contesto o realtà in cui lavora. Qualcuno direbbe metaforicamente che sono una “spugna”. Assorbo, vedo cosa c’è da trattenere e cosa da espellere. In questi tre anni ho imparato tanto e per questo ringrazio. Poi però ci sono le evoluzioni e allora l’assorbimento diventa giocoforza “selettivo”. Il nostro è un lavoro basato sull’approfondimento delle tematiche di studio predilette. Se diventa impossibile perseguire questa strada, diventa impossibile lavorare con la qualità che richiedono – giustamente – sia i lettori che gli editori. Diventiamo, in estrema sintesi, degli “automi scrittori”. Fenomeno molto più diffuso di quanto si pensi, specialmente sulla stampa mainstream.
Non ho intenzione di emulare in alcun modo una strada simile, a prescindere dai sacrifici che comporterà tutto ciò. C’è tristezza e c’è dispiacere, questo sì. Sullo sfondo però c’è anche qualcosa di gioioso: in questi ultimi giorni ho capito di volere bene all’Italia perfino più di quanto mi aspettassi. Detto questo, vi saluto affettuosamente. E buon lavoro.
Stelio Fergola