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Le big tech rincorrono il nucleare, l’Europa punta al Sole

by Sergio Filacchioni
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Roma, 22 ott – Secondo recenti studi, colossi tecnologici come Google e Microsoft, hanno consumato – solo nel 2023 – circa 24 TWh (terawattora), superando il consumo energetico di oltre 100 Paesi tra cui Islanda, Ghana e Tunisia. L’impennata dei consumi, paralleli all’aumento delle emissioni di anidride carbonica, mandano a farsi benedire gli obiettivi di sostenibilità che le big tech si erano prefissate, e in gran parte è dovuto all’impiego e sviluppo della AI.

La corsa al nucleare delle big tech

L’espressione “Big tech” viene spesso utilizzata in riferimento alle cinque più grandi multinazionali IT occidentali, ovvero Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft. Le Big Tech sono al momento le società quotate in borsa più redditizie al mondo, con capitalizzazioni di mercato che vanno da 500 miliardi di dollari a 2 trilioni. Dei veri e propri imperi globali che nell’ultimo anno hanno visto aumentare vertiginosamente il proprio fabbisogno di energia. Queste big tech oltre a guidare lo sviluppo tecnologico e dettare i consumi attraverso un’ecosistema digitale che loro stesse hanno creato e che dipende esclusivamente dalla loro offerta, sono anche tra i maggiori consumatori di energia elettrica al mondo. Arriviamo quindi ad un dato basilare: le aziende così dette “energìvore” hanno bisogno di elettricità e gas a costi compatibili con la competizione internazionale. Giganti come Google e Microsoft devono quindi correrei ai ripari: il consumo elettrico del 2023 di queste due aziende ha superato quello di oltre 100 Paesi. Entrambe le società infatti hanno richiesto circa 24 TWh (terawattora) di elettricità ciascuna, un dato in crescita insieme alle emissioni di CO2, che per Google sono aumentate del 48%. Gli aumenti sono in gran parte dovuti all’addestramento dei grandi modelli linguistici delle rispettive intelligenze artificiali. Una quantità di energia abnorme, paragonabile al fabbisogno energetico di Paesi come l’Azerbaigian – l’Italia per capirsi si attesta sui 300 TWh. Il 14 ottobre scorso infatti, il colosso di Mountain View, ha annunciato che acquisterà dalla startup statunitense Kairos Power energia nucleare prodotta usando piccoli reattori di nuova generazione chiamati Smr (small modular reactors). Alla fine del 2023 la Kairos Power ha ottenuto il via libera della Nuclear regulatory commission (Nrc) per avviare la produzione del suo primo smr a Oak Ridge, nel Tennessee. Il contratto con Google prevede l’attivazione del primo smr entro il 2030, con un aumento progressivo della produzione fino al 2035 per rispondere all’enorme fabbisogno di elettricità di Google.

Le Ai generative divorano energia

La relazione è molto facile: la crescente diffusione del cloud computing ha aumentato a dismisura i consumi di energia delle principali aziende del settore – tra cui appunto Google, Microsoft e Amazon – che devono alimentare data center sempre più grandi. Questi ultimi sono ormai diventati di fondamentale importanza con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa che richiede quantità enormi di dati e di semiconduttori per sfruttarli. Oltre a Google, anche altre big tech stanno correndo ai ripari, siglando contratti con fornitori d’energie rinnovabili, soprattutto nel nucleare: alla fine di settembre anche Microsoft ha annunciato una partnership con l’azienda statunitense Constellation Energy che prevede la riapertura di un reattore della centrale di Three Mile Island – sito del più grave incidente nucleare della storia statunitense (1979) – in Pennsylvania. Amazon è diventata pochi giorni fa l’ultima big tech ad aggiungersi alla “corsa al nucleare“: l’azienda di Seattle ha rivelato tre accordi, tra cui un investimento nella startup X-Energy e due accordi di sviluppo che mirano ad aggiungere circa 300 megawatt di capacità sia nel Pacifico nordoccidentale che in Virginia, due punti nevralgici per i centri dati. Anche in questo caso gli accordi di sviluppo prevedono la costruzione di piccoli reattori modulari – SMR, anzi in questo caso AMR (un reattore ancora più avanzato in termini di riduzione di emissioni e rifiuti) , che Amazon prevede inizieranno a generare elettricità all’inizio del 2030.

Il 2030, l’anno fatidico

Questi dati evidenziano il sempre maggior impatto energetico delle grandi aziende tecnologiche e pongono l’attenzione sulla necessità di strategie sostenibili per gestire la crescente domanda di energia in un mondo che diventa sempre più digitale. Tutte le manovre sembrano convergere sul 2030 come “anno fatidico“: è evidente che accordi come quelli siglati dalle big tech statunitensi con attori energetici emergenti – sostenuti infatti anche dal Dipartimento dell’energia USA – daranno una spinta importante alla fissione nucleare di nuova generazione. In Europa gli sforzi si stanno concentrando sulla ben più lenta e dispendiosa, seppur davvero avveniristica e prometeica “corsa alla fusione“: Iter, il reattore per la fusione nucleare di Cadarache, sud della Francia, ha festeggiato l’arrivo lo scorso luglio dell’ultimo dei 18 magneti da 320 tonnellate e quindi del completamento del cuore del reattore. La “goccia di Sole sulla Terra“, come l’ha definita il direttore di Eurofusion Ambrogio Fasoli, dovrebbe entrare in funzione nel 2039 anche se come annunciato dal direttore generale del progetto, Piero Barabaschi, l’inizio delle operazioni scientifiche è previsto già per il 2034. Il decennio che si inaugurerà nel 2030 sarà un momento di rivoluzione energetica senza precedenti: da un lato l’aumento esponenziale di energia nucleare prodotta da reattori di nuova generazione, che evidentemente non sarà solo un “intermezzo” ma un vero e proprio percorso autonomo, dall’altro il compimento – lo ricordiamo a guida italiana – di quella che è stata giustamente definita la più grande sfida tecnologica della storia, ma che potrebbe rappresentare ancora per moltissimi anni una fonte d’energia costosa e poco concorrenziale.

Sergio Filacchioni

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