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L’Aquila 2024 si avvicina: intervista ad Antonio Padellaro

by La Redazione
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Antonio Padellaro intervista

Roma, 3 sett – L’Aquila Città del Libro “parte seconda” – e ci si augura, di molte altre “parti” o puntate – è pronta a cominciare. Nel frattempo, raggiungiamo alcuni degli ospiti che ci attendono nel capoluogo abruzzese tra poco meno di due settimane. Uno di questi è Antonio Padellaro, firma storica e co-fondatore del Fatto Quotidiano e dimostrazione – tra le tante – dell’interesse degli organizzatori a promuovere anzitutto una cosa: il dibattito e la libera opinione. Occhi puntati sul suo ultimo libro (Solo la verità, lo giuro. Giornalisti Artisti Pagliacci), ma non solo.

“Il mestiere del giornalista raccontato nei pregi e nei difetti”: intervista a Padellaro

Qualche commento su L’Aquila, come città e realtà che lo scorso decennio ha lavorato duramente per uscire da un dramma. A che punto siamo, secondo lei?

L’Aquila la conosco piuttosto bene, perché l’ho vista prima e dopo il terremoto. Dopo il sisma la ricostruzione è stata complicata, anche a causa di ritardi inaccettabili. Non vengo nel capoluogo abruzzese da alcuni anni, quindi sono anche curioso di vedere cosa sia stato fatto per riportare la città non dico allo splendore di un tempo, ma almeno al recupero di un decoro che merita assolutamente.

La Città del Libro è alla seconda edizione, dopo l’esordio fortunato dello scorso anno. Un suo commento sul festival e sul ruolo culturale che può recitare.

Guardi, io sto presentando il mio libro in tutta Italia. Dagli esordi a Torino a maggio, avrò toccato circa 22 città. La cosa che mi sento di dire alla luce di questi viaggi, è che esiste un’Italia “periferica” (espressione sbagliata, ma non me ne viene in mente una migliore) dove ci sono un’attività e un’intensità culturale invidiabili, addirittura straordinarie. Abbiamo un patrimonio che, lontano dalle grandi città e dai grandi centri, esprime una qualità altissima, oltre che un impegno ammirevole, nonostante queste iniziative, spesso, non siano ripagate da un’adeguata presenza di pubblico. Ho accettato di venire alla Città del Libro perché sono attratto da situazioni di questo tipo, da questo fervore che giudico in maniera assolutamente positiva.

Parliamo un po’ del suo libro, “Solo la verità”. Da cosa nasce l’idea di scriverlo?

Innanzitutto va precisato che l’idea non è mia, ma dell’editore, ovvero Mondadori. Da un paio d’anni Paolo Valentini insisteva affinché io raccontassi la mia storia di giornalista. Alla fine ho accettato, ho cominciato a lavorarci, e ho trovato tanto materiale che non avevo potuto utilizzare sui giornali, per ragioni di tempo, spazio eccetera. Quanto al motivo che ha generato l’idea, il titolo, “Solo la verità”, qualcosa dice. Ho vissuto cinquant’anni di giornalismo che possiamo definire “in prima linea”, considerato che ho lavorato per grandi testate: questa esperienza mi ha portato a poter osservare da più vicino eventi che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese, dal terrorismo, al caso Moro, il delitto Pasolini, Prima Repubblica, P2 e Berlusconi. Tutti raccontati con la massima sincerità possibile. La “verità” che ho visto con i miei occhi, in sintesi.

Il sottotitolo (“Giornalisti Artisti Pagliacci”) è piuttosto forte e uno potrebbe pensare: “Un giornalista che critica i giornalisti”. Che sembra un tema impossibile, e invece non lo è…

Anche qui va detto che non mi riferisco ad altri se non a me stesso. Non mi interessa ergermi a giudice di colleghi. La caratteristica di questo questo libro è che non ci sono “mezzi busti al Pincio”. Non mi ci sento io, d’altronde. Racconto semplicemente questa professione anche per gli errori e per i momenti di cui non sono stato orgoglioso. Io sono giornalista, qualche volta rara mi sono sentito artsta e qualche altra volta ancora anche “pagliaccio”. Ovviamente, non mancano i momenti di cui sono fiero. Tutto qui.

 

 

 

 

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