Roma, 23 apr – C’è qualcosa di profondamente ironico nell’articolo pubblicato da Left, in cui si celebra l’antifascismo come forza “non sobria per natura”. Ironico, perché la sobrietà che tanto disprezzano è esattamente ciò che incarnano. Sotto la maschera della radicalità, della presunta militanza, si cela la postura più conformista che esista: quella di chi si sente custode della morale, rappresentante del Bene, giudice assoluto del discorso pubblico. A sentirli parlare, sembrano Dio in persona.
Left si traveste da ribelle
Quello che Left propone non è un’ideologia viva, non è una lotta autentica, ma una retorica istituzionale uguale a quella di Musumeci: il desiderio di apparire militanti senza esserlo davvero, di evocare il mitema resistenziale senza accettarne il peso. Perché un mito implica sacrificio, identità, destino. Ma questo antifascismo da salotto è innocuo, addomesticato, perfettamente integrato nel sistema che finge di combattere. Le parole di Left servono solo a rassicurare l’ego progressista, non a cambiare il mondo. La loro retorica richiama spesso il “fascismo eterno”, come se ogni voce fuori dal coro fosse un germe autoritario. Ma questo abuso linguistico, oltre a svuotare di senso la parola “Fascismo”, ha una funzione precisa: delegittimare l’altro, impedirgli di parlare, escluderlo a priori dal campo del pensabile. In questo modo, l’antifascismo non diventa un’arma contro il potere, ma uno strumento del potere per zittire ogni dissenso. Dietro questa finta trasgressione si nasconde il vuoto. Un vuoto spirituale e politico che Yukio Mishima aveva intuito: “Viviamo in una società angusta, tentando di non entrare in conflitto tra noi, di armonizzare i nostri egoistici interessi per vivere piacevolmente. E tuttavia nel nostro animo vive una segreta insofferenza per questo tipo di morale, soprattutto nei periodi in cui la pace dura da lungo tempo a causa di un governo democratico“. Ecco, fino a quando non si dichiareranno apertamente antidemocratici – piuttosto che antifascisti – loro non rappresenteranno mai l’ebrezza e la vita contro il mondo grigio dei sobri e rispettabili borghesi. Left non è l’alternativa a questo mondo. Left è la sua voce ufficiale, è la morale che finge di ribellarsi a se stessa, è l’autocelebrazione di una sinistra che non ha più visione, ma solo scatole vuote.
Alla ricerca disperata di un’identità
Nel frattempo, l’Italia reale resta lontana da questi giochi di specchi come la spettatrice passiva di un gioco di ruolo che gira su sé stesso all’infinito. L’Italia non ha bisogno di antifascismo ma di pensiero, coraggio e concretezza. Parlare di Fascismo nel 2025 come se fossimo nel 1922 è un atto di comodo, una fuga dalla realtà. Perché in fondo, Left e quelli che parlano come Left non stanno combattendo il fascismo. Stanno cercando disperatamente il loro Trump. Hanno bisogno di un nemico per giustificare le loro pose sguaiate, i loro riti grotteschi, le loro indignazioni prefabbricate, le loro piazze violente e ultra divise. Vivono in una contraddizione permanente: denigrano l’eroismo ma si appellano al coraggio, rifiutano ogni gerarchia ma cercano disperatamente un capo, disprezzano la militanza politica ma vogliono sentirsi attivi. È la malinconia di chi ha smesso di credere in qualcosa, ma non riesce ad accettare il proprio vuoto. E allora si aggrappa al passato che non conosce, per darsi un’identità che non ha mai avuto.
È vero, l’antifascismo non è sobrio
Il punto è che quelli di Left dicono la pura e semplice verità, ma la travestono con una bella bugia: l’antifascismo non è sobrio per natura. Ma non nel senso alto e ribelle che provano a rivendicare. Non è sobrio perché è grottesco, goffo, diviso, spesso violento. Non è sobrio perché non ha misura, né intelletto, né cuore. E quando una qualsiasi lotta perde questi elementi senza trovare un vero mito mobilitante, diventa solo una parodia di se stessa.
Sergio Filacchioni