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“L’amichettismo, ovvero come si smette di pensare”: intervista a Fulvio Abbate

by Stelio Fergola
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Abbate amichettismo

Roma, 20 lug – Abbiamo intervistato Fulvio Abbate, pioniere del concetto di “amichettismo” e autore del romanzo Lo Stemma, che sarà presente a L’Aquila Città del Libro, fiera letteraria prevista per la fine di questo luglio 2023.

Intervista a Abbate: l’amichettismo come forma di autocensura

Abbate, prima di parlare dell “amichettismo”, trattiamo e sue origini culturali: lei viene da sinistra.

«Ho una storia lunga. Da bambino volevo fare il chimico, prima di capire intorno ai 13 – 14 anni di voler fare lo scrittore. Nel 1990 ho pubblicato il mio primo romanzo, che raccontava la storia degli adolescenti comunisti nella mia città nel maggio 1970. Insomma, sono stato comunista, addirittura maoista. Poi mi sono allontanato, rifiutando l’idea paranoica dei comunisti che si possa mutare la realtà, come evidenziato dalla loro prassi statuale».

Andiamo dritti al punto: che cos’è l’amichettismo?

«L’amichettismo è una forma di complicità acefala, che nega del tutto l’esistenza di un’individualità. Un pensiero ridotto ad emoticon. Segnatamente, l’amichettismo è riscontrabile in un contesto di sinistra, che ha caposaldo in figure come Michela Murgia, Chiara Valerio o la stessa Elly Schlein. La faccina sembra riassumere il pensiero. È un modo di “preservare il territorio dell’ambizione”, se così possiamo definirlo. Le espressioni vengono manifestate per altri e non per sé stessi. Io, non a caso, mi definisco una “testa di cazzo in proprio e mai per conto di altri”».

La si può definire una forma di privazione del pensiero libero?

«È un pensiero libero fittizio, quindi inesistente in una realtà di salotto o di comitiva. In nome della complicità occore trovare una forma di costrizione, in nome di un patto di comune o di ambizione professionale».

Una tendenza individuale a prediligere la socialità (amici, amiche, donne) rispetto all’elaborazione del pensiero, mettendo quest’ultimo in secondo piano, può essere considerato amichettismo?

«Sì, se è riferito al contesto del salotto e della comitiva di cui parlavo prima. Rispetto alla produzione artistica e letteraria in senso più ampio, va detto che si ha la sensazione che in uno scambio “professionale” il cosiddetto “consenso acefalo” paghi molto. C’è questo alla base».

È scettico sulle possibilità di sviluppo di una reale libertà di pensiero oppure no?

«La libertà di pensiero è sempre individuale. Chi la esercita, si assume la responsabilità di ciò che afferma. Tutto questo ha un costo umano molto chiaro, ma io non so fare altrimenti che dire sempre ciò che penso: mi viene naturale rifiutare ogni forma di istinto gregario. Voglio rispondere solo a me stesso. D’altronde, non mi dà assolutamente fastidio la solitudine, quindi…».

Cosa si aspetta dalla sua conferenza a L’Aquila?

«Fondamentalmente che chi mi ascolta abbia coscienza che io sono un “monotipo”, un pezzo unico, non assimilabile a nessuno. In questo senso non ritengo di avere colleghi. Un artista e uno scrittore è e deve essere, ora e per sempre, la propria individualità».

Stelio Fergola

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