Roma, 28 giu- Era il 1446 quando il cardinale Prospero Colonna, signore di Nemi, diede mandato a Leon Battista Alberti di ricercare le leggendarie “navi di Caligola” nel Lago di Nemi. Leggendarie perché nessun autore aveva mai accennato alla loro esistenza, ma se ne supponeva l’esistenza perché già nel Medioevo, talvolta, venivano pescati alcuni reperti archeologici. Una prova dell’esistenza di tali navi arrivò dal ripescaggio delle fistulae aquariae, grosse tubazioni in piombo facenti parte di un impianto idraulico utilizzato dalle ricche famiglie romane per portare acqua corrente all’interno dei palazzi. Questi tubi erano ricavati da lastre rettangolari di piombo su cui solitamente veniva impresso il nome del proprietario, il nome del liberto idraulico e a volte un numero progressivo. Da ciò si ricavò che appartenessero all’imperatore Caligola. E che nell’opera di damnatio memoriae a cui fu sottoposta la sua figura, rientrava pienamente l’affondamento di tali navi. Leon Battista Alberti chiamò nuotatori genovesi, i marangoni, che raggiunsero e in parte esplorarono la nave più vicina alla riva riferendo la distanza e la profondità. Venne costruita una piattaforma galleggiante e, con delle corde munite di ganci, si tentò di tirare la nave a riva. Riuscì invece solo di strappare un pezzo dell’imbarcazione, danneggiandone seriamente la struttura.
Nei secoli successivi furono numerosi i tentativi di recuperare le navi. Nel 1535 Francesco de Marchi. Nel 1827 Annesio Fusconi che utilizzò la campana di Halley per portare sul fondale 8 marangoni. Ma le corde della campana si spezzarono e l’impresa fu rimandata. Altri provarono ma solo nel 1927, precisamente il 9 aprile, Benito Mussolini annunciò l’intenzione del governo di recuperare le due navi mediante lo svuotamento parziale del lago di Nemi così da far riemergere le due antiche navi romane utilizzando l’antico emissario affinché portasse le acque al mare. L’emissario, risalente al periodo etrusco, veniva utilizzato al tempo dei romani per far defluire le acque del lago di Nemi fino al mare in modo che non inondassero il santuario di Diana che sorgeva sulla riva settentrionale del lago di Nemi. Nel settembre del 1928 i lavori di sistemazione furono portati a termine, ed il 1º ottobre venne effettuato il collaudo. Il 20 ottobre 1928 Mussolini, accompagnato dal Sottosegretario agli Interni e dai Ministri della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici, mise in funzione l’impianto idrovoro. Il 28 marzo 1929 affiorarono le più alte strutture della prima nave. In soli due anni riuscì quello che per 4 secoli era sembrato impossibile. Ed il 4 luglio di questo anno, a 87 dall’opera fascista, torna il vecchio sogno di riportare “a galla” la terza nave di Caligola. Partiranno cioè «gli studi e la ricerca della terza nave romana dell’Imperatore Caio Cesare Caligola». Questo è l’esatto oggetto della delibera della giunta comunale con cui si da il via ad una vera e propria caccia al tesoro, a costo zero, che inizieranno dei volontari e ricercatori con il nulla osta di Comune, Mibac e Protezione Civile. Una squadra di sommozzatori, diretta dall’architetto Giuliano Di Benedetti, promotore del progetto, s’immergerà fino al punto più profondo del lago che non supera i 33 metri.
«La storia ci racconta di una terza nave – afferma l’architetto Di Benedetti – rimasta sommersa sotto il livello del lago quando fu svuotato». A scoprirla sarebbe stato nel 1827 proprio il cavaliere Annesio Fusconi che raggiunse i relitti e asportò marmi, smalti, mosaici. Il legname recuperato venne poi utilizzato per realizzare souvenir. «Il maltempo interruppe i lavori – prosegue l’architetto – il materiale recuperato venne depredato e il Fusconi abbandonò l’impresa ma lasciò prove schiaccianti di una terza nave nelle sue memorie». Prima fra tutte le misure che non corrispondono né alla prima e né alla seconda nave recuperate dal governo fascista. Ma perché dovrebbe esserci una terza nave? Sembrerebbe infatti che il progetto di Caligola fosse quello di costruire l’opera galleggiante mai vista prima. Tre navi collegate prua-poppa. Gli elementi rinvenuti lasciano poi pensare che si fosse realizzata una struttura per costituire il rituale esiaco egiziano : «l’ingresso» in un altro mondo , «il palazzo», e l’ultima nave doveva essere il vero tempio di Iside che guarda sempre a sud dal tempio di Diana.
L’Italia come sempre rimane un vivaio di tesori, molti ancora da scoprire. Tesori che Mussolini seppe ricercare e valorizzare, dando vita a grandi opere che ancora oggi non hanno eguali. Non hanno eguali perché oggi il governo aspetta l’iniziativa di novelli Indiana Jones anziché promuovere esso stesso iniziative del genere o più semplicemente grandi opere che darebbero notevole prestigio alla Nazione patria di “poeti di artisti di eroi, di santi di pensatori di scienziati , di navigatori di trasmigratori»
Federico Rapini