Roma, 9 mag – Il tema del finanziamento ai partiti è balzato in cima alle discussioni degli ultimi giorni, com’era prevedibile dopo lo scandalo che potrebbe coinvolgere Giovanni Toti, accusato esattamente di percezione illegale di fondi privati e di relativi “favori” in cambio. Non si parla solo di quello, ovviamente, visto che l’argomento è talmente ampio da comprendere la stessa natura della politica e della necessità di una sua primazia sull’economia, un elemento che non può essere ideologico ma banalmente necessario, per qualsiasi società che voglia funzionare quanto meno in modo migliore rispetto alla presente. Dai tempi della cosiddetta “mani pulite” e degli scritti di Bettino Craxi ad Hammamet, la questione è diventata sempre più pressante.
Abolire il finanziamento pubblico ai partiti è stata la tomba della politica
Al tempo, quando durante il governo di Enrico Letta, nel 2013, si decise di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, detrazione del famoso 2 per mille a parte (sebbene essa sia entrata in vigore in modo effettivo dal 2017) già mi espressi in modo estremamente critico. Non solo abolire i finanziamenti pubblici era un errore, ma si rivelava sostanzialmente inutile per gli scopi che si prefiggeva. Chi accolse con favore quel provvedimento lo fece sulla scorta di una filosofia “grillina” (magari non consapevole, ma culturale) della questione: se proprio devono rubare, che non lo facciano con i soldi nostri.
Un’altra argomentazione molto popolare al tempo fu che i partiti, di fatto, fossero già pilotati dall’emisfero economico privato e che in tal senso sostenerli con denaro pubblico fosse ininfluente. Niente di più sbagliato, ovviamente. La storia non è fatta soltanto di leggi del taglione, ma anche di sfumature. E uno Stato che rinuncia a sostenere la politica pone la pietra tombale su qualsiasi speranza di invertire la tendenza, fosse anche solo in termini di approccio e di mentalità. Uno Stato che rinuncia a sostenere la politica è alla stregua di uno Stato che svende il proprio potere di trasformazione della società, anche in termini economici. D’altronde, parliamo dello stesso Stato che ha smantellato l’Iri e che ha rinunciato ai propri poteri sovrani sui confini e sulla moneta. In tal senso non ci sarebbe stato niente di cui stupirsi se, poco più di un decennio fa, avesse rinunciato anche all’ultimo barlume di autonomia finanziaria che gli rimaneva nella gestione della politica. Ecco perché la verità su questo dibattito è molto più semplice delle infinite discussioni a riguardo.
La verità è troppo scomoda e rivoluzionaria
La realtà nuda, cruda, sparata senza troppi peli sulla lingua è la seguente: lo Stato dovrebbe controllare completamente il finanziamento alla politica. Per farlo, però, dovrebbe godere anche di piena autonomia economica, e sappiamo come, da circa un trentennio, non sia affatto così. Anche formule tergiversanti relative ai “privati che a certe condizioni” potrebbero contribuire, sono piuttosto limitate, perché si ingarbugliano in un contesto di eccezioni e complicazioni difficili da gestire, le quali peraltro storicamente quasi sempre si sono concretizzare nel pieno dominio e ingerenza del potere economico sulla politica. Ovvio che in taluni casi potrebbe essere concepibile, ma siccome “la carne è debole”, finisce per diventare più faticoso e complicato tutelare le deroghe piuttosto che la normalità. Ecco perché la soluzione – in teoria, sia sempre chiaro – dovrebbe essere “nessuna deroga”.
La politica, sempre in teoria, dovrebbe riconquistare la sua assoluta, indiscutibile e fondamentale primazia sull’economia. Futile sottolineare quanto viviamo in una società in cui tutto ciò non solo sia remoto, ma estremamente utopico. Solo relativamente però, e non in senso assoluto. Di certo c’è che un Paese governato dai poteri economici non sia sostenibile per la collettività, il che può essere un punto di partenza per provare a invertire le tendenze. Di sfumato c’è, come sempre, il futuro. Ma la verità di un finanziamento ai partiti che dovrebbe essere esclusivamente pubblico è scomoda e rivoluzionaria soprattutto per questo: e, in quanto tale, difficile da accogliere o da valutare. Perché la “vita comoda” contro cui si lottava un tempo non ha mai smesso di esistere e di inquinarci, come essere umani prima ancora che come cittadini o rappresentanti della Nazione.
Stelio Fergola