Roma, 14 gen – Lo scorso anno su queste colonne avevamo preannunciato il riposizionamento del grande capitale rispetto all’ideologia woke: dalla Disney a Netflix, ci sembrava che il black washing non avesse pagato i dividendi sperati facendo correre ai ripari i grandi Paperoni. Ora anche Meta e il padron Zuckerberg dicono addio alle velleità woke, a partire dalle loro stesse strutture.
La svolta anti-woke dei paraculi
Dopo aver annunciato il taglio delle politiche DEI (diversità, uguaglianza, inclusione), la società di Mark Zuckerberg è infatti passata alle vie di fatto, per così dire. La revisione aziendale è partita dai cessi, letteralmente: via tamponi e assorbenti per il ciclo dai bagni degli uomini. Una “bandierina” che era stata piazzata dalla comunità Lgbt – per giustificare la necessità di tutelare i dipendenti non binari o in fase di transizione di genere – ma chiaramente ostile alla realtà. Gli uomini non hanno il ciclo. “Negli uffici di Meta nella Silicon Valley, in Texas e a New York, i facility manager hanno ricevuto l’ordine di rimuovere gli assorbenti dai bagni maschili, che l’azienda aveva fornito ai dipendenti non binari e transgender che usano il bagno maschile e che potrebbero aver avuto bisogno di assorbenti igienici, hanno affermato due dipendenti” quanto riportato dal New York Times. Insomma Mark vuole fare pulizia dall’interno. Dopo l’annuncio che aveva steso tutti quanti, David Puente in testa, ovvero la rimozione del “fact-checking” dall’orizzonte di Meta, l’azienda che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp ha voluto tagliare i ponti anche con le concessioni al woke. Cosa che poi spesso andava a braccetto con la “nota censoria”. Qualcuno dice che la vittoria Trump ha riallineato i sensi delle big-tech rispetto ad una propaganda percepita ormai come fuori dal mondo: questo potrebbe essere il primo effetto della “pax” – siglata prima delle elezioni presidenziali – tra Trump e la Silicon Valley. Ricordiamo tutti che Jeff Bezos ha accuratamente evitato di far schierare l’artiglieria del Wahington Post prima e durante le elezioni, mentre Elon Musk ha preso a tutti gli effetti il ruolo di “eminenza grigia”, perfino nei rapporti esteri del neo-eletto presidente. La domanda sorge spontanea: era tutta fuffa? Probabilmente sì, per le grandi aziende almeno. Dall’altra parte però vedremo il mondo woke – scaricato e acido – tornare ad estremizzarsi sulle posizioni più radicali, in ragione di un loro automatico riposizionamento su una dialettica d’opposizione al mondo della “tecno-destra“. Insomma, forse non conveniva più nemmeno a loro essere percepiti come organici al sistema.
Oltre Meta, il grande capitalismo si riorganizza
Oltre a Meta sembra che tutto il grande capitale si stia “riorganizzando”. McDondald’s, Amazon, Walmart, Boeing, ma anche Harley-Davidson e Ford hanno annunciato l’abbandono dei programmi d’inclusività, parità e diversità. “Piuttosto che singoli gruppi che creano programmi, ci concentriamo su programmi con risultati comprovati e miriamo anche a promuovere una cultura più veramente inclusiva“, ha scritto Castleberry, vicepresidente di Inclusive Experiences and Technology di Amazon. C’è quindi un inversione di rotta molto più profonda di quanto la stampa italiana voglia comunicare, che parte anche e soprattutto dai dati reali, e dal fatto che le grandi aziende vogliono rimettere al centro meritocrazia e – ovviamente- guadagno. La riorganizzazione del capitalismo post-Woke è una buona notizia? Sicuramente si sta concludendo una stagione di collaborazione del mondo economico e produttivo con l’antifascismo dem più radicale, dall’altre parte vedremo ricostruirsi un’egemonia finanziaria che proprio grazie allo sposalizio con il woke perdeva di credibilità. E questo non è certo sinonimo di svolta rivoluzionaria: che si tratti di un capitalismo conservatore “wasp” di ritorno o che si tratti di un “neo-capitalismo” accelerazionista e futurista è ancora tutto da vedere.
Sergio Filacchioni