Roma, 22 mar – Torna, prepotente, noiosa e banale come sempre la “parte sbagliata”. Il che non dovrebbe sorprenderci, visto l’uso superinflazionato del concetto dalla seconda guerra mondiale in avanti. Forse fa più male che a pronunciare queste parole non sia esattamente David Parenzo, ma un uomo di grande rigore scientifico come Ernesto Galli della Loggia, le cui opere di approfondimento storico sono davvero un esempio di onestà intellettuale e di ricerca, specialmente sui temi della seconda guerra mondiale e del fascismo, di cui oggi si avverte un grande bisogno. Ma Galli della Loggia sul mainstream segue l’esempio di altri studiosi – su tutti Emilio Gentile – che subiscono una sorta di “trasformazione”. Dettata da cosa, non ci è dato saperlo. Può essere tutto e niente, dalla semplicissima malafede alla necessità di assecondare la retorica dominante. A meno di doverne constare una stupidità francamente incompatibile con il suo lavoro accademico: il lettore ci perdonerà se tendiamo ad escludere quest’ultima ipotesi.
“Scegliere la parte sbagliata”: il delirante editoriale di della Loggia
Della Loggia scrive – come di consueto – sulle pagine del Corriere della Sera. Le stesse dove ha scritto in passato riflessioni storiche utilissime sulla cosiddetta “resistenza”, sulla fine del conflitto mondiale, sulla “morte della patria” (titolo peraltro di un suo libro omonimo), sul riconoscimento oggettivo e rigoroso dell’assenza di un movimento fondante della nuova Italia uscita in macerie dal 1945, antifascismo incluso. Insomma, parliamo di un uomo di cultura ma soprattutto di osservazione. Ecco perché l’articolo Scegliere la parte sbagliata fa ancora più male. Perché non viene da un cronista di bassa lega, ma da un personaggio culturalmente rilevante nell’universo accademico. Per l’intera lunghezza dell’editoriale, della Loggia in pratica afferma impunemente la necessità, anzi l’obbligo implicito, di appoggiare senza sé e senza ma tanto Israele e che l’Ucraina nelle due guerre in corso. Usando ripetutamente la parola “genocidio” con le virgolette, a volerlo chiaramente sminuire quanto non ritenere inesistente, nonostante le cifre parlino chiaro, così come gli atti dell’esercito di Tel Aviv nell’area (decine di migliaia di vittime, attacchi perfino in contesti non bellici, come gli ospedali o la gente in fila per disporre degli aiuti umanitari alimentari). Tutto per dire cosa? Che dalla “parte sbagliata” non si può stare. Perché quella giusta è la solita. La stessa dell’antifascismo di cui rileva i limiti ideologici nei suoi libri. Che delusione.
L’amarezza di uno studioso che segue il mainstream
Fa male, malissimo leggere le parole di della Loggia. Specialmente quando scrive nella conclusione che “alla fine la vera ragione per cui ci affrettiamo a invocare ad ogni occasione la pace, il negoziato, la fine del «genocidio», la «Palestina libera dal fiume al mare» o qualunque altra cosa torni comoda allo spietato barbaro di turno, è una sola: perché abbiamo paura che la prossima volta egli magari bussi alla nostra porta”. Un’accusa di vigliaccheria francamente inutile, che non ci sarebbe mai stata se la parte fosse stata “quella giusta”. Puntare su un indubbio limite delle generazioni occidentali per portare acqua al mulino del pensiero unico. Per carità, non ci attendiamo barricate o pensieri per forza affini. Ma un tale manifesto politico da chi studia la storia è un orribile spettacolo, ogni qualvolta si presenti. Con lo squallido strumento della “parte sbagliata” per portare la gente nell’unica direzione che conta: quella di non ragionare e di offrire il consenso necessario ad agende decise da altri.
Stelio Fergola