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La sacralità del reale: dal principio d’identità alla terza via

by Sergio Filacchioni
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Roma, 3 ott – Dai rettori che realizzano laboratori per “bambini trans“, agli attori che definiscono pericoloso l’homo sapiens fascista, i tentativi di cancellare il principio di realtà si fanno sempre più violenti. Ma la realtà che è in sé sacra non la si può distruggere. Essa va però incarnata e resa viva con l’azione ed è primariamente con le vie che portano alla conoscenza di questa che gli europei rivoluzionari possono sconfiggere i loro nemici.

Il principio d’identità

In un’epoca in cui la maggioranza degli uomini sembra non saper più sviluppare i ragionamenti più elementari, gli identitari europei, come eredi del grandiosa filosofia greca, devono necessariamente recuperarne i principi fondanti. Il primo tra questi è il principio di identità e di non contraddizione, formulato in modo chiaro e preciso da Aristotele più di duemila anni fa e che sinteticamente si può spiegare con questa formulazione: una cosa e il suo contrario non possono essere entrambe vere. Non si può asserire che Tizio sia più alto di Caio e contestualmente affermare che Tizio sia più basso di Caio. Una delle due affermazioni è necessariamente falsa. Da ciò ne consegue che l’identità non possa essere un dato dipendente dalla volontà o dalla percezione del singolo o dei più, è bensì un dato certo e assolutamente immodificabile, in quanto la verità è il presupposto dell’identità, a cui anche la volontà è subordinata. Perché in natura si possa sopravvivere e vivere in armonia, la verità non può essere negata e l’auspicio di qualcosa di non vero non può che portare alla distruzione, in quanto nulla che non sia vero può essere desiderato, non esistendo.

Cosa è reale e cosa no

Quando un “pensatore ” mainstream sostiene che oltre all’essere uomo e all’essere donna, oltre al maschile o al femminile esistano una varietà infinita di generi alternativi, sa per caso dare una definizione concreta e tangibile di questi altri generi? Ovviamente no. Se in tutte le specie si è in grado di definire chi appartiene al sesso maschile dall’osservazione di determinate caratteristiche fisiche, quali i genitali, il bacino, le ossa, come possono due soggetti aventi entrambi queste caratteristiche non essere dello stesso sesso? “Ma il sesso è una cosa, il genere è un’altra“. No. Essendo la volontà  subordinata alla realtà, nessun soggetto maschio o femmina che sia può realmente essere qualcosa di diverso da ciò che è la sua essenza fisica e spirituale. Ciò che manca, in tal caso, è il saper essere veramente se stessi, anche questo principio cardine del pensiero greco, il saper mettersi in contatto con gli archetipi più profondi della propria identità, che fanno sì che si ambisca ad essere ciò che non si è.

Il femmineo e la virilità

L’aggettivo “femmineo”, demonizzato dell’ideologia progressista, ha radici molto antiche. Famosa in tal senso una massima di Seneca contenuta nell’epistola a Lucilio “Vivere militare est“. Seneca dopo aver elencato le tipiche lamentele di qualcuno dovute all’incapacità di affrontare i problemi della vita, proferiva le seguenti parole. “Tam effeminata vox dedecet virum“. “Frasi così effeminate non si addicono a un uomo“. Da ciò si comprende in cosa consiste l’essere femmineo, ovvero nella mancanza di virilità, e tale mancanza nel mondo contemporaneo viene non casualmente incentivata e propagandata come modello positivo. L’uomo piangente, lamentoso, è il prototipo perfetto del consumista, è l’emblema di chi sfoga nell’economicismo le proprie mancanze. E questo non è un problema tanto delle categorie appartenenti all’universo LGBTQI, che, nonostante la massiccia propaganda, restano comunque una minoranza assoluta, ma è un problema per tutti gli uomini, specialmente i giovani. Proprio perché due principi tra loro contrari non possono essere validi entrambi e soltanto gli stolti possono di conseguenza ritener valido il concetto di libertà della società liberale, tramite un’accurata propaganda dell’ideologia di genere ad essere demonizzata è la virilità tout court. Facendo passare il concetto che il genere sia un costrutto sociale e che ciascuno decida cosa essere sulla base della propria sensazione, un giovane uomo non sentirà minimamente che a lui primariamente gli si addice il concetto di dovere, il dovere di essere fedele alla sua natura virile, il dovere di pensare al futuro, il dovere di essere padre e il dovere di essere cittadino della propria patria, come ci insegna l’idea mazziniana. Ovviamente, questa presa di distanze dal femmineo non deve indurre a ritenere che l’essere femminile sia un problema, come son soliti fare coloro i quali reagiscono in modo scomposto alle degenerazioni, divenendo il prodotto perfetto per il sistema. Le donne sono fatte per essere tali e hanno anche loro come gli uomini il dovere di esser fedeli alla propria natura e di non permettere che le loro migliori caratteristiche siano calpestate da quelli che odiano la maternità e il profondo amore che lega l’esser donna alla propria patria e alla propria famiglia. L’aggettivo femmineo, infatti, non va confuso con l’aggettivo femminile. Il maschio femmineo non è infatti una donna, ma si trasforma nella parodia del femminile, proprio perché vive la propria dimensione seguendo la fallacia della sensazione, quella che appunto i greci avrebbero chiamato δόξα, contraria al principio di conoscenza vera, esattamente come in un fenomeno parossistico si trasforma la donna che cerca di emulare delle attitudini che non le si addicono nel comportamento e nel carattere. La verità è che l’identità maschile e femminile sono diverse e la loro necessità di completarsi a vicenda ci fornisce lo spunto per risalire ad un altro principio fondamentale del pensiero greco, l’organicità.

L’organicità

Due principi opposti non possono essere entrambi veri, ma possono essere collegati da un terzo elemento, in assenza del quale risultano entrambi falsi. La differenza uomo-donna si risolve nel ciclo della vita e delle stirpi, nella necessità dell’azione virile che da forma a ciò che è nel mondo, rendendosi partecipe insieme al divino della creazione, e dell’azione femminile di chi della cura, della bellezza e della tutela realizza appieno il proprio essere. È per questo che il tre è da sempre un numero sacro. Già gli indoeuropei avevano ben chiara la tripartizione dell’anima; e tale lascito non per caso ha attraversato i millenni, giungendo alla filosofia greca, al diritto romano e poi al cristianesimo. Il terzo elemento è quella forza capace di sintetizzare ciò che è opposto, mettendo ordine nel caos. Il terzo elemento è la coincidentia oppositorum di Eraclito. La sintesi è ciò che rende completo ciò che tale non è. La sintesi va insieme al principio di identità e contraddizione. Da questo capiamo quali sono le caratteristiche di un essere, dalla sintesi il principio generale e immutabile dell’Essere.

La terza via

La Rivoluzione del secolo scorso, l’innominabile fonte di terrore per gli estremisti dell’egualitarismo internazionalista, non a caso è stata definita come “la terza via“. Essa, trasportato dal piano filosofico sul piano politico grazie al “medium” che fu Mussolini e la sua pattuglia di fedeli, altro non fu che quel raggio di sole apollineo che raccoglie l’eterna e intramontabile conoscenza sacra indoeuropea per ri-manifestarla nella modernità, senza curarsi dei nemici e di chi la nega. E se a tratti può sembrare che ciò che rappresenta l’orrido prevalga, chi è ben consapevole che quanto si vede oggi è il nulla rapportato ai millenni, trova la forza per ergersi sulle rovine e schierare contro il nemico colpi precisi, colpi di logoramento, colpi che lo porteranno ad arrendersi finché ciò-che-è-giusto (il “Dharma” induista) non tornerà a regolare la vita degli uomini e della natura. Come? Ovviamente esercitando prima di tutto sè stessi: Non si può galleggiare su quello che ci insegnano: bisogna approfondire!, disse lo studioso e combattente romano Pio Filippani Ronconi; bisogna darsi una disciplina: “Costantemente mantenersi presenti. Dentro la propria mente. Esercitarsi. Avere una condotta particolare; disprezzare il facile comodo, disprezzare l’inutile lusso; essere uomini raffinati, ma essere uomini fermi. Mantenere la fedeltà della parola”. Esercitarsi nel corpo: “Fate risorgere lo Spirito dalla congiuntura delle vostre ossa“. Questi sono esercizi che tutti possiamo svolgere nella nostra quotidianità, per spezzare la linea progressiva nel quale molto spesso ci rifugiamo. E poi aprirsi, scoprire “la vita come bellezza di esprimere sè stessi“, e su questo il Prof. Ronconi sembra dirci qualcosa che può essere duro da accettare: “Approfittate di tutto ciò che di positivo vi da questa attuale civiltà e cultura. Non disprezzatela, perché l’avversario non deve essere mai disprezzato. È buona norma ammirare anche il nemico, per quello che è o che ha di positivo. Arricchite la vostra cultura, arricchite la vostra anima; studiate bene anche ciò che è contrario a voi. Dovete essere spiritualmente aperti. Gli uomini come voi devono essere capaci di restare incantati per due ore a contemplare un albero”. E infine l’invito ad essere comunità, oltre le malelingue ma anche oltre i soliti clichè: “un’altra cosa che è alla base di tutto: la fraternità tra di noi. Una fraternità gentile, senza quelle rozzezze a cui molti indulgono nell’illusione di essere più uomini“. Far rivivere la weltanschauung indoeuropea insomma non deve essere soltanto uno sforzo intellettuale, ma anche e soprattutto una pratica quotidiana di lotta, contro i nemici della Patria: quella fisica e quella spirituale.

Ferdinando Viola e Sergio Filacchioni

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