Roma, 20 apr – Prendiamo spunto da un recente articolo apparso su Il Sole 24 ore che a sua volta riprende una inchiesta de La Verità per fare una riflessione sulla riforma del Ministro Roberta Pinotti che promuove 13mila ufficiali in un colpo solo. Questa promozione in blocco è stata fatta “linearmente” per aumentare gli stipendi del personale con le stellette al pari di quello che si fa per i dipendenti pubblici civili; il problema qui però, come riporta molto intelligentemente l’articolo de Il Sole 24 ore, è che nel campo militare non è possibile avere due comandanti di una stessa compagnia o 3 comandanti di una stessa divisione, soprattutto in un Paese che vede gli organici diminuire con Reggimenti che riconsegnano la bandiera di guerra, Stormi che chiudono, e dismissioni di unità navali.
Cosa succederà quindi? Si prospetta una parcellizzazione di compiti, una creazione di nuovi uffici, inutili, e una ridondanza di incarichi che contribuirà solo ad una cosa: generare caos e confusione in un sistema che andrebbe razionalizzato. E la riforma Di Paola? Dimenticata a quanto pare. L’ex Ammiraglio e Ministro della Difesa aveva stilato un piano, ratificato poi nel Libro Bianco della Difesa, per una effettiva razionalizzazione degli incarichi, accorpando quei comandi e quelle specifiche che risultavano doppie, se non triple, per snellire l’apparato burocratico militare e renderlo più efficiente (e reattivo, cosa che in caso di guerra non fa mai male). Ora, con questo non vogliamo tessere le lodi di una riforma, quella Di Paola, che abbiamo aspramente criticato perché ha portato, direttamente, alla chiusura di Stormi e Reggimenti che, nel quadro del mutato panorama politico internazionale, andrebbero potenziati invece che tagliati, però il piano dell’ex Ammiraglio prevedeva un drastico taglio degli effettivi nei quadri delle Forze Armate con un progetto di riallocazione in ambito civile per quegli ufficiali e sottufficali, di ogni grado, che dovevano uscire dagli organici. Parallelamente si sarebbe dovuta avere una campagna di arruolamento per la truppa, a tempo determinato, con la possibilità di passare in SPE solo per gli elementi più qualificati: un modo anche per svecchiare le nostre Forze Armate che invece si avviano verso una rapida senescenza.
Come se non bastasse la promozione in blocco voluta dal Ministro Pinotti avrà dei costi non indifferenti: un miliardo di euro per i primi 3 anni poi 400 milioni l’anno a regime. Non propriamente degli spiccioli per un Paese che destina ancora solo l’1,1% del Pil alla Difesa (dati 2016), e anzi, con una voce, quella della Funzione Difesa, cioè quella parte del bilancio che effettivamente va allo sviluppo dei programmi, all’acquisto di sistemi d’arma ecc, che è diminuita del 1,1% rispetto all’anno precedente perdendo 148,6 milioni di euro (dai 13.360,4 milioni di euro dello scorso anno si scende fino ai 13.211,8 per il 2017 sul totale per la Difesa di 20.269,1 milioni pari allo 0,77% del Pil). Funzione Difesa che, ormai è sotto gli occhi di tutti, è andata progressivamente perdendo finanziamenti negli ultimi 5 anni venendo decurtata di circa 1200 milioni di euro dal 2013 a oggi. Che fine hanno fatto i soldi che hanno portato ad aumentare la quota del Pil destinata alla Difesa? Semplice, la maggior parte se n’è andata per il personale. La spesa per il personale infatti rappresenta una delle voci più sostanziose del bilancio con una tendenza a crescere negli ultimi 5 anni: per il 2017 si prevedeva raggiungesse i 9799 milioni di euro, ma questo prima che fosse conteggiata la promozione dei 13mila ufficiali voluta dal Ministro Pinotti.
La Nato ha richiesto ai Paesi membri dell’Alleanza l’aumento della spesa per la Difesa sino a raggiungere il 2% del Pil, manovra che, se attuata, equivarrebbe ad una spesa aggiuntiva di circa 19,73 miliardi di euro per l’Italia, ma non vorremmo mai che in questo aumento venisse conteggiata una spesa folle per l’inutile duplicazione di uffici, cariche, competenze e per un Esercito di “vecchi” dove ci sono più Generali che fanti.
Paolo Mauri