Roma, 17 lug – Non è mio interesse definire Donald Trump un eroe. O un “supereroe” come lo descrive criticamente Annalisa Cuzzocrea nel suo podcast su La Stampa. Ciò non toglie che qualche riflessione quel “Fight!” subito dopo aver rischiato la vita, debba quanto meno porla. Sulle semplificazioni insopportabili circa la “sete di potere”, sulla mancanza di coraggio ritenuta praticamente aprioristica in politica da parte di tutta la “audience” popolare occidentale (in qualsiasi Paese dell’impero americano, e nel suo stesso epicentro, le classi dirigenti vengono tradizionalmente dipinte come egoiste e prive di qualsiasi tipo di slancio), ma soprattutto su un aspetto che caratterizza meglio di qualsiasi altro l’epoca che viviamo: la distruzione della politica, e quindi dell’uomo. Inquadrata solo come una sorta di “management amministrativo” e non con tutta la ricchezza che la stessa storia gli ha sempre attribuito.
Sì, la politica è anche eroismo, oltre che filosofia
Il pensiero della Cuzzocrea viene riassunto dalla pagina social dello stesso quotidiano con un’immagine che lo riporta nel suo passaggio cruciale. La cui sintesi è questa: “Non abbiamo bisogno di supereroi ma di costruttori di ponti”. A parte il fatto che considerare “super” una reazione di grinta e indubbia personalità (come quella di Trump è stata, e bisogna essere davvero in malafede per negarlo), già dà la dimensione del vuoto cosmico che caratterizza chi si pavoneggia come “essere culturale”, ma anche i semplici cittadini e la stessa comunità. Non è che The Donald si sia buttato alla guida di un caccia contro un nemico in guerra, ha dimostrato semplicemente di avere voglia di combattere. Ma la lotta – ed è qui il punto – è aprioristicamente esclusa da questa società di eterni bambini, di eterni deboli e di costanti mediocri. Conta solo “costruire un ponte”, magari facendo quadrare i conti perché ehi, non sia mai detto che quelli non siano sempre a posto.
Zero visione, zero profondità, solo freddi calcoli. Qualcuno lo aveva sognato circa due secoli fa (e ne sta osservando dagli inferi la realizzazione), qualcun altro ne aveva previsto i drammi poco dopo. In ogni caso, a perderci è la stessa umanità. E sorvoliamo l’etichetta di “tiranno” affibiata da un’ignoranza simile a chiunque non segua la linea della debolezza e dell’eterna ignavia spacciata pure per predica moralista. Ovviamente, scandita dai soliti riferimenti al fascismo, ma quelli sono talmente dementi che possiamo metterli solo all’angolo. La politica, in mano a una simile classe culturale, non può che smettere di essere eroismo e filosofia, per diventare sostanzialmente una cosa: il nulla.
La squalifica umana del mondo liberal-progressista globalizzato
Lo diceva già Carl Schmitt, che con sorprendente capacità di previsione già all’inizio del XX secolo, comprendeva come lo Stato – oltre che la religione – si stesse “secolarizzando”. In realtà, si stava secolarizzando la stessa politica, che nel corso del Novecento si sarebbe via via orientata verso profili più tecnici, meno ideali, meno spirituali e meno “metafisici”, se volessimo aggiungere un aggettivo forse imponente ma ugualmente da considerare. Da qui la naturale propensione, per Schmitt, a considerare la sovranità assoluta della politica come l’unico antidoto alla produzione di individui e società sempre più deboli e amorfe.
Perché oggi i sogni proibiti del ben noto August Comte possono dirsi, se non appieno realizzati, comunque sulla via della piena concretizzazione: siamo governati da decenni da classi dirigenti sempre più tecnocratiche e sempre meno politiche. A volte veniamo perfino “truffati” in questa suggestione, se si pensa all’era del Covid dove “la scienza” veniva enfatizzata come l’unica direttrice salvo poi scoprire (anche in tempo reale, considerate le spaccature dialettiche sul tema dei medici e degli stessi virologi) che scienza non era affatto. In economia trionfano i banchieri e i tecnici mentre un tempo erano solo dei consiglieri. Così nella sanità e in tutti gli altri ambiti dell’azione politica.
La politca è diventata, come la lagna di Cuzzocrea ci evidenzia, quella che “deve costruire i ponti” e che “non ha bisogno di supereroi”. Ma si tratta di una sciocchezza, simbolo stesso dell’impoverimento anzitutto umano che caratterizza questa infausta epoca. Comte e il positivismo trionfano, l’uomo muore. Perché non abbiamo bisogno di supereroi ma di chi costruisce, di chi fa quadrare i bilanci, come un qualsiasi ragioniere aziendale, dicono i liberal e quelli che si sentono moderni.
Non è così: la politica è guida, è spirito, è sicuramente considerazione anche tecnica, ma è ben altro oltre alla semplice costruzione di strutture e impianti: vola alta verso la visione, verso la programmazione, verso la stessa educazione delle generazioni future, verso la comunità attuale e quella dei suoi figli. E, cara Cuzzocrea, ebbene sì, essa è anche eroismo. Ben altra cosa rispetto alla mediocrità odierna, il cui nerbo si riduce a una pletora di manager elettivi senza alcuno slancio. Figuriamoci se eroico.
Stelio Fergola