Roma, 18 nov – Le immagini provenienti dalla Mole Antonelliana di Torino hanno fatto il giro d’Italia: un pugno di manifestanti appartenenti ai collettivi di sinistra “recitano” l’occupazione del sito storico, dopo di che dalla balconata ammainano il tricolore italiano per sostituirlo con il vessillo palestinese. Dov’è la Patria in tutto questo?
La Patria è tutto
I video rimbalzati sui social hanno scatenato le solite reazioni: da una parte il solito biasimo “paternalistico” e dall’altra l’esaltazione pura. Eppure non ci possiamo accontentare. Non possiamo accettare letture così superficiali della realtà e di un gesto che invece è esemplificativo di un paradosso in corso. Quale? Quello strano continuum in cui la sinistra-post-comunista, dopo aver abbandonato ogni idea di centralità della Nazione nel proprio impianto ideologico, si ritrova “en passant” sulle barricate di una causa che eredita ma non comprende, o meglio, la legge soltanto in modo puramente simbolico e pragmatico. Nessuno può negare che esista evidente incoerenza tra l’internazionalismo-globalista della moderna sinistra (da quella più moderata a quella più estrema) e il supporto incondizionato a movimenti nazionalisti come quello palestinese: per di più, se anche la lotta palestinese restasse per loro un “simbolo” e una “prassi” per continuare a criticare l’oppressione colonialista appianando ogni controversia ideologica, sarebbe da notare come il loro atteggiamento riguardo a temi come immigrazione siano marcatamente “neo-coloniali“, ovvero tendenti all’omologazione culturale. Si potrebbe tranquillamente affermare che in questo momento l’antifascismo è la pianta parassita di una legittima causa: crescendo sulle sue spalle per continuare a sopravvivere coerentemente alla sua natura, le risucchia linfa e la sfigura.
Il destino delle bandiere
Esempio lampante il tricolore italiano che viene ammainato e deturpato, sostituito da un vessillo altrettanto nazionalistico, ma che evidentemente ai loro occhi “multipolari” dovrebbe in qualche modo rappresentare “tutti gli oppressi” contro l’Occidente imperialista. Ma la bandiera adottata dall’OLP nel 1964 fa riferimento ad una precisa identità storica: i colori nero, verde, bianco e rosso sono i simboli tradizionali del movimento panarabo, almeno dai tempi della Rivolta Araba del 1916 guidata dalla dinastia Hashemita contro l’Impero Ottomano. In quella bandiera non c’è un grammo di internazionalismo, ma addirittura una promessa e un sogno d'”imperium“: infatti, sono anche i colori delle dinastie arabe che dal settimo secolo hanno guidato l’espansione islamica, anche contro e verso l’Europa per inciso. Insomma, al massimo rappresenta un’agognata e mai compiuta unione dei popoli arabi. Lungi da noi fare i professori di storia, ma quantomeno le basi dovrebbero essere conosciute e condivise da chi cerca un bandolo in questa ingarbugliata matassa. Chi oggi abbassa il tricolore italiano, altrettanto denso di significati storici ed identitari ben precisi, non può trovarsi nella posizione di rivendicare – per sè e per la Palestina – proprio un bel niente. Altrettanto evidente risalta il tragico fato di alcune bandiere, compreso il nostro Tricolore, ovvero quello di divenire altro rispetto a ciò che è: dopo le manifestazioni identitarie di Bologna della scorsa settimana per la prima volta qualcuno a parlato del tricolore italiano come della “loro bandiera“, quasi a voler dire che ormai non può sventolarla nessun altro italiano se non l’italiano-fascista. Evidentemente il destino delle bandiere è legato anche e soprattutto a chi le porta.
Essere coerentemente identitari
“Senza Patria, voi non avete nome, nè segno, nè voto, nè diritti, nè battesimo di fratelli tra i popoli. Siete i bastardi dell’umanità. Soldati senza bandiera, israeliti delle Nazioni, voi non otterrete fede nè protezione: non avrete garanti. Non v’illudete a compiere, se prima non vi conquistate una Patria, la vostra emancipazione da una ingiusta condizione sociale: dove non è Patria, non è Patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo l’egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba, dacchè non v’è tutela comune a propria tutela. Non vi seduca l’idea di migliorare, senza sciogliere prima la questione Nazionale, le vostre condizioni materiali: non potrete riuscirvi. Le vostre associazioni […] rimarranno sterili finchè non abbiate un’Italia”. Tenendo a mente queste parole di Giuseppe Mazzini possiamo inquadrare il discorso in un’ottica coerentemente identitaria: la lotta palestinese è una lotta per la difesa di una cultura, una religione e una terra specifiche; Israele è la rappresentazione di interessi globalisti sovranazionali, quindi un “nemico” comune sia per i movimenti identitari europei che per la causa palestinese; il diritto di ogni popolo di difendere la propria terra e identità contro l’omologazione imposta da un mondo globalizzato è un valore che possiamo condividere universalmente. Insomma, l’omologazione culturale e la perdita delle identità – portati soprattutto da un’immigrazione sponsorizzata da attori globali – sono problemi comuni che possano gettare un ponte di collegamento tra Europei e Palestinesi, molto più solido di qualsiasi velleità antifascista che critica il colonialismo mentre sostiene chi distrugge le identità locali. Anche qui sarebbe inutile ricordare ma lo facciamo lo stesso che le forze nazional-socialiste europee e arabe si sono trovate dalla stessa parte della barricata proprio nella Seconda Guerra Mondiale. Episodi come quelli di Torino non servono per piangersi addosso: dobbiamo sì utilizzare fatti simili come leva per mettere in evidenza le incoerenze della sinistra, ma anche per rimarcare i punti di contatto tra l’approccio identitario e la lotta palestinese per la Patria. Solo l’identità può rappresentare un valore rivoluzionario ed universale coerente, a differenza dell’approccio selettivo e strumentale della sinistra. Nessun Europeo può più ignorarlo.
Sergio Filacchioni