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La guerra fredda conveniva troppo all’Italia

by Stelio Fergola
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Roma, 9 nov – Nell’anniversario della caduta del muro di Berlino una riflessione va enfatizzata contro ogni retorica o nostalgismo: la guerra fredda conveniva troppo all’Italia. Un aspetto che non possiamo non considerare, se mettiamo in primo piano l’interesse nazionale in luogo di quello “internazionale”, in qualsiasi sua forma. In questo caso, l’interesse socioeconomico dei Paesi dell’Est, che in quel 1989 si liberarono effettivamente di un sistema economico che dimostrò di non poter funzionare (tralasciando le chiacchiere sulla mancanza di democrazia o meno che, indipendentemente dalla loro indubbia verità, ci interessano molto poco).

La guerra fredda

La guerra fredda poneva l’Italia in una posizione di bilancia invidiabile. Lo ha dimostrato la politica neoatlantica degli anni Cinquanta, lo hanno dimostrato personaggi come Amintore Fanfani, come Aldo Moro. Negli anni Ottanta perfino Bettino Craxi, che era un anticomunista di ferro, sfruttò al massimo la natura di ponte dell’Italia tra i due blocchi. Per non parlare della massiccia politica mediterranea.

Onestamente, delle sorti dei Paesi dell’Est sarebbe logico interessarsi fino a un certo punto. Prioritario è, sempre sarà e sempre dovrebbe essere l’interesse nazionale italiano. E l’interesse nazionale italiano guadagnava molto sia da una Germania divisa che da un’Europa in due blocchi. Una mappa geopolitica che le consentiva di fare il bello e cattivo tempo, differentemente da oggi. Chi scrive, peraltro, è sempre stato contento della riunificazione del popolo tedesco: ma l’analisi non si presta a questioni di cuore, e soprattutto il cuore che prevale è e sarà in ogni caso quello italiano.

Poi, senza dubbio, sbaglia chi pensa che l’Italia non possa fare più nulla da sola, dovendosi per forza affidare ad entità “più grandi”, per di più con una classe dirigente che non vede l’ora di non decidere niente. Nuove “guerre fredde” sono ancora in agguato, perché il mondo è e resterà diviso, e la posizione geografica dell’Italia, del tutto peculiare, le consentirà quasi sempre di stare su linee di demarcazione che sarebbe saggio sfruttare in ogni occasione. Ma questo è un altro discorso.

Festeggiare non è giusto o sbagliato

Sostanzialmente, ci interessa molto poco della fine del comunismo. Certamente, è sacrosanto rimarcare l’ostilità a una visione politico-ideologica che si è dimostrata l’alta faccia della medaglia del liberalismo di stampo angloamericano, con cui condivide l’aspetto materialistico e ne traeva linfa con la visione esclusivamente economicista della realtà e della storia umane. Ma a parte questo, cosa rimane? Il comunismo è fallito. Non sotto le bombe, come il fascismo, ma per il peso del suo stesso sistema. Ha fallito per la sua mancanza di equilibrio tra sociale e individuale, per la sua visione teleologica e non pragmatica. Tanto è che i sistemi che sono sopravvissuti, come la Cina, sono in realtà economie stra-miste, stra-pubbliche ma anche stra-private (anche di grosse dimensioni, non parliamo certo di sole aziende di famiglia). E chi le guarda con nostalgismo comunista sta guardando solo a un simbolo, non certo alla sostanza. Ciò detto, per l’interesse nazionale italiano, tutto ciò ha una rilevanza? No. Perché noi, da quella guerra fredda, guadagnavamo troppo. E sarebbe saggio approfittare delle nuove divisioni mondiali in via di sviluppo.

Stelio Fergola

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