Roma, 7 mar – Il Parlamento francese, com’é noto, ha introdotto nella Costituzione vigente del 1958, aggiungendo un nuovo comma all’art. 34, il “diritto” all’aborto, o meglio il “diritto”, da parte della donna, di interrompere volontariamente la gravidanza. Ora, va precisato che, nell’ordinamento costituzionale francese, l’aborto é legale giá a partire dal 1975 a seguito dell’entrata in vigore della c.d. “legge Simon Weil” in base alla quale si puó interrompere la gravidanza fino alla fine della quattordicesima settimana o, per ragioni mediche, durante tutta la gestazione.
La Francia e la “pretesa” all’aborto
La revisione costituzionale, pertanto, intende “blindare” una sorta di diritto/pretesa della Francia all’aborto, precludendo alle fonti primarie di grado inferiore rispetto al Testo fondamentale di abrogare o modificare la legge istitutiva, pena la loro illegittimitá costituzionale. Tuttavia, l’intervento del legislatore, costituzionalizzando il “diritto” in oggetto, concretizza al massimo livello delle fonti un vero e proprio abominio. L’embrione umano, infatti, é persona e possiede un suo preciso statuto ontologico. Il fatto che la scienza metta tra parentesi le qualitá non misurabili della realtá (l’essenza di un ente, i suoi fini etc.) non significa affatto che queste non esistano. Una prospettiva materialistica e meccanicistica offre solo un aspetto del reale, ma non consente di coglierlo nella sua totalitá e nella sua pienezza. L’embrione, dunque, fin dallo stadio zigotico unicellulare, é giá un organismo umano, ossia un essere vivente con un sistema unico, integrato ed organizzato (e non piú scomponibile), che contiene in sé tutte le informazioni genetiche orientate ad uno sviluppo continuo, graduale e coordinato. In altri termini, possiede un suo ordine ben preciso. Le teorie “funzionaliste”, che posticipano l’inizio della persona al momento della rilevazione della capacitá o delle condizioni per l’esercizio della capacitá sensitiva e razionale, cadono in una vistosa contraddizione: la presenza di una funzione presuppone sempre l’esistenza di un soggetto, di qualcosa che é, che esiste. Alla luce di queste considerazioni la ragione ci porta a concludere che l’embrione é persona in virtú della sua natura razionale (cosí Palazzani) e non diventa persona.
La disumanità delle tesi abortiste
Pertanto, ad essere in potenza, ossia in fase di sviluppo, non é la natura umana, ma l’attuazione completa delle capacitá che per esplicitarsi necessitano della maturazione biologia, psichica e sociale. Se si insiste sull’idea dell’embrione come uomo in potenza che può diventare un uomo in atto, allora, proprio perché lo può e non lo diventa ineluttabilmente, può anche diventare non-uomo, cioè qualcosa che uomo non è. É questa la tesi sostenuta, ad esempio, dal filosofo neoparmenideo Emanuele Severino (1929-2020). Ora, a questa obiezione si deve replicare che l’embrione non ha alcuna potenzialità di diventare non uomo (ad es. un leone o una montagna), ma gli può solo accadere che si interrompa, per vari motivi, il suo ciclo evolutivo e muoia. In queste considerazioni di grande rilievo è il finalismo intrinseco alla generazione-procreazione, il quale non prevede la possibilità di diventare non uomo, bensí soltanto la possibilità di non svilupparsi adeguatamente, di essere espulso e di perire ed é per questa ragione che l’embrione é persona fin dall’inizio (Possenti). Legittimare l’aborto e, a maggior ragione, inserire il preteso “diritto” all’interno della Costituzione francese equivale a ritenere la revisione costituzionale (e prima ancora la legge del 1975) palesemente ingiusta, “contra ius”, contro le ragioni del diritto e della giustizia che ne costituisce il presupposto. Come insegna san Tommaso d’Aquino (1225-1274) nella “Summa Theologiae”: “lex iniusta non est lex, sed corruptio legis” (traduzione: “La legge ingiusta non é legge, ma corruzione della legge”). Sarebbero questi gli esempi di avanguardia e di progresso di cui si riempie la bocca il Primo Ministro Gabriel Attal?
Daniele Trabucco