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La causa palestinese è davvero un “monopolio della sinistra”?

by La Redazione
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causa palestinese

Roma, 19 mag – In risposta al nuovo capitolo del perenne conflitto arabo-israeliano, iniziato il 7 ottobre scorso, si sono svolte, e continuano tutt’ora a svolgersi, manifestazioni di massa in tutto il mondo, di cui la quasi totalità in sostegno della causa palestinese e contro l’azione di forza condotta dal governo di Tel Aviv.

Causa palestinese e sinistra

Una caratteristica che balza agli occhi osservando queste manifestazioni è la loro forte politicizzazione. Oltre alle bandiere Palestinesi, infatti, in questi cortei non è raro vedere sventolare al loro fianco anche bandiere raffiguranti la falce e martello, o comunque svariati altri riferimenti espliciti ad una certa dottrina politica, che, negli ultimi decenni, si è fatta paladina della lotta palestinese monopolizzandola con una certa arroganza ed egoismo. Interessante è notare come buona parte del fronte di solidarietà politicamente schierato, si rifaccia a quello che è il socialismo puro, il quale vede nell’Urss di Joseph Stalin il modello pseudo-utopistico di Stato. Gli stalinisti moderni, come del resto l’intero mondo della cosiddetta “sinistra”, abbracciano questa scelta prevalentemente nel nome dell’antimperialismo e di conseguenza dell’antisionismo.
Ma davvero la sinistra extraparlamentare può arrogarsi il monopolio di questa causa? La storiografia moderna può fornirci delle basi per formulare una risposta.

Stalin, padre fondatore di Israele?

Il 29 novembre 1947, il Piano di partizione della Palestina, elaborato dal United Nations Special Committee on Palestine, viene approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York (Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale). Il progetto fu ideato per risolvere il conflitto tra la comunità ebraica e quella araba palestinese, scoppiato già sotto il mandato britannico della Palestina. Approvato con voto favorevole da 33 stati, propose la partizione del territorio palestinese fra due Stati, uno ebraico, l’altro arabo, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Tuttavia, come ben sappiamo, questa svolta sarà solamente l’inizio di un nuovo capitolo nell’interminabile conflitto arabo-israeliano.
Un elemento importante per l’approvazione della risoluzione e di conseguenza per la fondazione di Israele fu l’appoggio di buona parte della comunità internazionale, in particolare fu essenziale il sostegno dell’Unione sovietica (membro permanente del consiglio di sicurezza) e dei suoi satelliti, che seguendo la linea tracciata dal viceministro degli Esteri sovietico, nonché ambasciatore all’ONU, Andrej Andreevič Gromyko, votarono a favore.

Il passaggio di Stalin al sostegno del sionismo fu dunque fondamentale, si potrebbe addirittura asserire che Israele stesso non sarebbe esistito nella sua forma attuale se l’Unione Sovietica non avesse offerto il suo appoggio quel 29 novembre del 1947. Unione Sovietica che sarà inoltre anche tra le prime nazioni a garantire il riconoscimento diplomatico al neonato stato israeliano, il 17 maggio 1948, solo tre giorni dopo la sua dichiarazione di indipendenza. Le motivazioni che giustificano questa decisione, sulle quali non ci soffermeremo, sono varie. Per la storiografia moderna la teoria più comune è che Stalin volesse indebolire la posizione dell’imperialismo britannico nella regione, vedendo i coloni ebrei come una sorta di movimento di liberazione nazionale.

Il sostegno sovietico, tuttavia, non si limitò ai soli mezzi diplomatici, è importante sottolineare anche il supporto militare che quest’ultimo offrì durante la prima guerra arabo-israeliana, scoppiata all’indomani del ritiro dell’amministrazione inglese e alla contestuale proclamazione dello Stato di Israele, il 15 maggio 1948. Nonostante gli stessi Stati Uniti di Truman vietarono ufficialmente la fornitura di armi al Medio Oriente, Mosca, attraverso il suo satellite cecoslovacco, inviò ingenti armamenti ad Israele, i quali risultarono fondamentali per vincere il conflitto ed iniziare la successiva pulizia etnica della Palestina. In altre parole, non è un’eresia affermare che, fu lo stesso Stalin il primo attore internazionale a sostenere materialmente la Nakba, prima ancora che lo Zio Sam.

Per far comprendere l’effettiva importanza del sostegno sovietico, possiamo utilizzare le stesse parole pronunciate un paio di decenni dopo da non meno che il primo ministro israeliano Ben-Gurion: “Hanno salvato il Paese, non ho dubbi su questo” o ancora “L’accordo sulle armi ceche è stato il più grande aiuto, ci ha salvato e senza di esso dubito fortemente che saremmo sopravvissuti al primo mese”. La stessa Golda Meir, nelle sue memorie, scrisse che senza le armi del blocco orientale “non so se avremmo potuto resistere fino a quando la marea non fosse cambiata, come è successo nel giugno 1948”.

Un conflitto destinato a non finire

Esaminata la realtà storica e constatato l’aperto supporto staliniano verso Israele, perlomeno in un primo periodo, possiamo davvero accettare la narrazione della sinistra extraparlamentare, secondo cui questa lotta appartenga esclusivamente ed originariamente a loro? La risposta è semplicemente no. In primis perché non si tratta di una battaglia politico-ideologica, è dunque insensato che un certo schieramento politico se ne appropri in questo modo; in secondo luogo, perché, come visto, una delle cause della situazione odierna fu proprio il sostegno politico-militare che la stessa Unione Sovietica offrì al neonato stato di Israele; e per finire perché gli stessi compagni non furono di certo i primi a sposare questa causa (quelli seduti dalla parte del torto li anticiparono giusto di qualche decennio) prima che divenisse un tema così popolare.

L’estrema politicizzazione che si è creata in Occidente dietro questa causa non è solo, come abbiamo potuto constatare, storicamente incoerente, ma va contro gli stessi interessi del popolo palestinese. Riducendo la questione ad un mero scontro politico tra “destra” e “sinistra”, tra “liberali” e “socialisti”, ci si allontana ancor di più da una possibile risoluzione concordata, andando a creare un ulteriore elemento di separazione tra le parti, puramente ideologico, quando nei fatti non ve n’è alcuna necessità. La questione palestinese non troverà di certo pace se continuerà ad essere intesa in questi termini, poiché politicizzando i conflitti la ragione decade, lasciando spazio al tifo da stadio, il quale non conosce altra verità se non l’incondizionato supporto per la propria fazione e l’odio per l’avversario.

Davide Guastalla

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