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Bolzano, 14 gennaio – In tempi dominati dalle telenovela e dai talk-show strappalacrime di Barbara D’Urso, talvolta riaffiorano dal passato storie d’amore d’altri tempi; tempi duri, fatti di guerra e sacrifici, tempi che ci narrano un romanticismo diverso che in molti casi abbraccia ideali e morte. È il caso di Karl e Barbara, due giovani che nella seconda guerra mondiale militarono tra le fila di quella “parte sbagliata” condannata dalla storiografia moderna. Karl Oberhollenzer era un giovane soldato altoatesino, classe 1922, partito da San Giovanni, in Valle Aurina e arruolato nelle forze armate tedesche della Wehrmacht. Dopo aver frequentato il collegio altoatesino di Bressanone “Vinzentinum”, Karl si diplomò a Berlino nel 1940 per poi partire a settembre, all’età di diciott’anni, alla volta della città austriaca di Innsbruck dove venne aggregato alla Divisione alpina nelle file della 5^ Gebirgs-Division. Il giovane Oberhollenzer si trovò a combattere in diversi fronti del III°Reich, da quello greco-albanese in supporto all’Esercito italiano prima del ’43, fino alle tremende battaglie dell’assedio di Leningrado, oggi San Pietroburgo, contro l’Armata Rossa dell’Unione Sovietica. Di ritorno dal fronte russo, Karl venne nuovamente trasferito, questa volta vicino a casa, in un nord Italia occupato militarmente dalle truppe tedesche e dai reparti della Repubblica Sociale Italiana, negli ultimi giorni di un tramonto che vedrà la fine del secondo conflitto bellico e una nuova occupazione della nazione da parte di americani e partigiani.
Mentre le ultime raffiche della guerra lasciavano il posto a quelle della Resistenza e dei processi sommari contro i fascisti, il soldato Karl incontrò la ventiquattrenne Barbara Forlani, una maestra emiliana arruolata volontaria nelle SAF, il Servizio Ausiliario Femminile della RSI, nonostante la contrarietà della madre. Tra i due nacque probabilmente una relazione sentimentale in grado di superare gli ostacoli della lingua come anche quelli più pericolosi di una guerra civile che stava insanguinando la penisola.
Nelle terribili giornate a cavallo del 25 aprile 1945, Karl e Barbara si ritirarono insieme a migliaia di soldati tedeschi e arrivarono nella provincia di Vercelli. Da questo punto in poi però, la grande ricerca dello storico Piero Ricci, membro del Grac – Gruppo Ricerca Aerei Caduti di Piacenza, perde le tracce realmente documentate da visti, verbali militari e documentazioni, per lasciare spazio ad ipotesi e, perché no, anche alla fantasia di coloro i quali si potrebbero appassionare a questa storia fuori dalle righe del politicamente corretto.
Il ricercatore piacentino ipotizza che probabilmente i due camerati fossero intenzionati a raggiungere Castelfranco Emilia, nel Modenese, dove si trovava la casa di Barbara, ma nella fuga vennero invece fermati e arrestati dai partigiani del CLN, Comitato di Liberazione Nazionale. Insieme alla giovane coppia c’era Bruna Callaini, la comandante delle ausiliarie assegnate al 3° gruppo “Vicenza” del 1° Reggimento di artiglieria alpina della Divisione “Monterosa”. Bruna finì insieme a Oberhollenzer e alla Forlani, sua vice, all’ospedale psichiatrico di Vercelli dove i tre trascorsero gli ultimi giorni prima del 6 maggio 1945, giorno in cui vennero fucilati a Langosco davanti al plotone d’esecuzione partigiano, senza nessun processo ma con la sola colpa di aver scelto di combattere per le proprie idee. Colpa che, fino a tre anni dalla fine della guerra, giustificò stragi, omicidi e condanne a morte per decine di migliaia di italiani trucidati dall’odio e dalla sete di vendetta.
Il testimone lasciato ai posteri da Barbara Forlani fu l’ultima lettera che l’ausiliaria fascista scrisse alla madre prima di venire catturata dai partigiani e in cui scriveva: “Sappi, mamma, quante domande mi sono posta prima di partire! Risolvendole sempre, per la fede e l’amore che porto per te e per la mia cara Patria, con una soluzione: arruolarmi. La morte non mi spaventa. Non la temo. Le vado incontro giorno per giorno, ora per ora. L’unico mio rammarico sarebbe di morire senza il tuo perdono”. Per il soldato altoatesino Karl Oberhollenzer invece, non vi è stato nemmeno il tempo o la grazia di un epitaffio o un nome inciso sulla sua tomba rimasta per 74 anni senza indicazioni nel cimitero di Rosasco, in provincia di Pavia, fino a quando il nome del soldato tumulato è stato ritrovato dal ricercatore storico Piero Ricci, che ha contattato i parenti di Karl, rintracciando in Valle Aurina tre sorelle, un fratello e il cugino Georg, dirigente di banca. La famiglia del soldato del Reich si è recentemente recata nel Pavese per visitare la tomba e vi ha portato una corona e un cero, lasciando aperta l’ipotesi di riesumare ciò che resta dello zio per seppellirlo nella sua terra natia, in Alto Adige. Questo però allontanerebbe le ossa dei due amanti in uniforme i cui destini si unirono nella tragicità degli eventi, e che nel martirio consegnarono all’immortalità il loro disperato amore.
Andrea Bonazza
1 commento
Nel 1945 si moriva per passione o per difendere le proprie idee (quali esse fossero non importa)… Oggi si muore facendo un selfie o al concerto di Sfera Ebbasta.
Sbaglierò, ma continuo ad invidiare chi ha vissuto prima di noi.