Roma, 22 apr – C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui in un club per ex-militari nel cuore di Londra si riunivano i dissidenti della New Right britannica. Al centro della scena, tra il fumo di sigari e l’eco di una civiltà in frantumi, parlava Jonathan Bowden. Intellettuale autodidatta, oratore magnetico, pittore visionario, Bowden è stato uno dei pensatori più radicali, estrosi e incendiari della destra inglese. Nel 2021, a dieci anni dalla sua scomparsa, arrivò per la prima volta in Italia la sua voce grazie all’edizione Perché non sono liberale (Polemos).
Contro l’Occidente decadente
Bowden non odiava la sinistra: la disprezzava. Ma il suo vero bersaglio era il liberalismo, “una visione bidimensionale della vita“, come lo definiva. Un’ideologia piatta, che ha ridotto l’uomo a consumatore, la politica a gestione amministrativa, la cultura a pedagogia per minorati morali. “La tragedia è una finzione”, dicevano i liberali. Ma la morte della madre e la follia che la precedette gli mostrarono il contrario: il mondo è dolore, sublimità, gerarchia. Il liberalismo, per Bowden, è la maschera della decadenza. Dietro il sorriso progressista si nasconde la pulsione nichilista dell’eguaglianza assoluta. Il suo rigetto della sinistra non fu mai un abbraccio alla destra conservatrice. Anzi, la destra “borghese”, quella dei Tories, gli ispirava lo stesso disgusto. “Il conservatorismo non basta”, diceva. “È anti-intellettuale, codardo, ossessionato dal rispetto borghese”. Per lui, la sola vera destra era quella radicale, estetica, pagana, imperiale.
Pulp Fascism: l’estetica della forza nascosta nei fumetti
Nietzschiano senza scuse, Bowden vedeva nel Superuomo l’archetipo del nuovo europeo. Credeva nella gerarchia come principio morale, nella bellezza come ordine, nella disuguaglianza come fondamento della civiltà. Il suo pensiero è un’ibridazione affascinante tra filosofia colta e cultura popolare. Amava Lovecraft e Marinetti, Pound e i fumetti Marvel, Evola e Arancia Meccanica. Per Bowden, anche un film hollywoodiano o un videogioco contenevano scintille arcaiche. “Dietro ogni eroe con mantello e pugni d’acciaio c’è la nostalgia per l’ordine, la superiorità, la vendetta giusta”. Il fascismo, in fondo, non è solo ideologia: è stile, energia, estetica della potenza. Bowden aveva capito qualcosa che molti intellettuali di destra hanno sempre ignorato o disprezzato: la cultura popolare è il campo di battaglia invisibile su cui si decidono i destini delle masse. Non bisogna guardare solo all’università, alla filosofia o all’editoria “alta”, ma anche ai film, ai romanzi, ai fumetti, ai videogiochi. Perché anche lì si esprime – in forma distorta, mascherata, inconscia – il bisogno di ordine, di bellezza, di superiorità. Proprio da questa intuizione muove l’idea di Pulp Fascism: un fascismo estetico, mitico, archetipico, che sopravvive sotto la superficie di prodotti “commerciali”. Secondo Bowden, l’eroe superumano, il giustiziere solitario, il combattente senza pietà, sono tutte incarnazioni moderne e “pulpite” del superuomo nietzschiano. Non a caso amava 300, Fahrenheit 451, Il gladiatore, Watchmen, ma anche la Marvel, i fumetti noir e la letteratura horror: erano “finestre su un mondo preliberale”, dove l’individuo non è vittima, ma titano. Il Pulp Fascism non è nostalgia del passato: è trasgressione del presente, ritorno del represso, volontà di potenza che si insinua proprio nella cultura che crede di averla bandita. “La destra è più eccitante quando è pericolosa”, diceva Bowden. E nulla è più sovversivo oggi che l’eroismo.
Oltre la morte, una visione
Nell’intervista tradotta da Francesco Boco, emerge chiaro il messaggio: la destra deve tornare ad essere la forza trasgressiva della cultura. Deve abbandonare le timidezze elettorali, il perbenismo morale, la paura della demonizzazione. “Voglio spaventare i liberali”, diceva Bowden con gioia. “Mi piace tormentarli, infilargli spilli nel sedere e vederli saltare”. Era un artista della provocazione, ma dietro la maschera istrionica si nascondeva una strategia seria: la metapolitica come guerra culturale preventiva. Bowden sapeva che prima delle urne, bisogna vincere nei simboli, nelle narrazioni, nei sogni. Solo così, diceva, “una nuova élite bianca potrà emergere, guidare, e ridare supremazia al proprio popolo nella propria terra”. Jonathan Bowden morì nel 2012, poco prima di compiere cinquant’anni. Un infarto lo spense, ma c’è chi dice che a ucciderlo fu lo sforzo titanico di portare da solo una guerra spirituale. “Quando spingi la tua mente fino a quei limiti, qualcosa deve succedere”. Nel mondo della destra italiana, dove spesso ci si limita al risentimento e alla retorica, Bowden è un richiamo a qualcosa di più alto. È la destra come arte e come religione, come estetica del futuro e volontà di forma: “Il razionalismo non basta. La Destra è potente quando parla al subconscio, quando chiama le forze primordiali, quando rifiuta il permesso e prende il destino per la gola”.
Sergio Filacchioni