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No, non sarà il turismo a salvare l’Italia. Con buona pace dei radical chic

by La Redazione
18 comments

turismo itaRoma, 31 mag – Sembra passato un millennio da quando Filippo Tommaso Marinetti tuonava contro la “pericolosa ed aleatoria industria del forestiero”, auspicandone la svalutazione. Anzi, sembra quasi che ora come ora il problema reale sia proprio quello di incrementare il più possibile la canea semi-barbarica di turisti con il calzino bianco e la macchina fotografica che impestano i centri storici del paese. Certamente, il giornale della Confindustria non può che plaudire per quella che in realtà è una pessima notizia, ovvero la creazione di posti di lavoro improduttivi, stagionali, a bassa intensità di capitale, servili e sottopagati, ma ci sia consentito notare che questa non è una prospettiva sana per un’economia pretesamente sviluppata come la nostra. Oltre alla Confindustria, non mancano i soloni della pseudo-cultura radical-chic che plaudono alla stessa, arrivando a sminuire l’industrializzazione (in particolare del meridione) ed esaltandone le proprietà salvifiche come il settore in cui, si dice, noi avremmo il “vantaggio relativo” rispetto agli altri paesi. I nomi di questi loschi impostori del pensiero lo conosciamo tutti: Daverio, Farinetti, Petrini.

Cosa c’è di sbagliato nel ragionamento? Semplice: è falso, oltre che essere figlio di una mentalità viscida da servetto degli stranieri che tanti danni ha fatto a questa disgraziata nazione. L’anno scorso, in pieno boom turistico mondiale, il turismo estero in Italia ha generato introiti su scala nazionale per ben…39,7 miliardi di dollari americani. Rispetto al Pil italiano di 1600 miliardi e rotti, sostanzialmente è come sostenere che un pasto completo è composta da una nocciolina. Per pochi spiccioli, svendiamo la nostra dignità ed il nostro amor proprio prostituendo le nostre città agli appetiti lascivi degli stranieri che impariamo a venerare come fossero i nostri salvatori perché “portano soldi”. Da notare che, nonostante le immense difficoltà che tutti ben consociamo, il 2015 si è chiuso con 400 miliardi di export (dieci volte più del turismo), ovvero di imprese italiane produttive e competitive che sono riuscite a piazzare le loro merci sui mercati stranieri. Non la viscida elemosina al servile terrone di qualche alemanno in Riviera o qualche anglofono in Maremma, ma aziende sane che distribuiscono salari spendibili.

Iniziamo quindi a capire da dove deriva questa oscena retorica che pretende di equiparare l’Italia con la sua storia e la sua economia a entità come la Tailandia, che per attirare qualche straniero che spende in “valuta pregiata” deve vendere le proprie figlie. È solo parte della più vasta operazione mediatica volta a far accettare la deindustrializzazione, il cosmopolitismo e l’amore per lo straniero. Avete presente quella noiosa retorica sul “terziario avanzato”? Ricordate Briatore quando consigliava ai giovani anziché studiare di aprire un ristorante? Rammentate forse i vostri lavoretti estivi che alle superiori servivano per fare cassa? Bene, quelli sono gli unici a cui può ambire un’economia che pretenda (non si sa oltretutto come, visti i numeri sconfortanti) di fondarsi sul turismo. Oltre, ovviamente, a non trascurabili questioni estetiche dettate dall’essere un popolo di camerieri alle dipendenze di esercenti che puntano a spremere fino all’osso il forestiero che non conosce la lingua se non sommariamente.

Ovviamente, anche questo business non potrà che far piacere alla mafia, che nel turismo ha sempre avuto uno dei modi più semplici di riciclare i proventi dei suoi loschi affari. Sapete com’è: se la mafia investisse in attività produttive, poi dovrebbe accollarsi il rischio d’impresa, mentre costruire qualche casermone di cemento e riempiendolo di crucchi sono bravi più o meno tutti. Mai come oggi le parole di Marinetti risultano più attuali nel richiedere a gran voce una “Italia libera forte, non più sottomessa al suo grande Passato, al forestiero troppo amato e ai preti troppo tollerati: una Italia fuori tutela, assolutamente padrona di tutte le sue energie e tesa verso il suo grande avvenire”.

Matteo Rovatti

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18 comments

massimo 31 Maggio 2016 - 9:19

Dissento radicalmente, per la prima volta, da Primato Nazionale. Dire che il turismo svende la nazione è un non-senso sesquipedale: a questa stregua tutti i servizi forniti alle persone nei più svariati campi sono “svendita”. Da questo paralogismo è facile passare a paragonare l’Italia, le sue città d’arte che offrono bellezza a tutti, i suoi musei che parlano della nostra storia e della nostra civiltà alla prostituzione tahilandese: da un non senso si genera una gigantesca stupidaggine. Opporre poi l’idea di industrializzazione, sembra in base al modello staliniano dell’industria pesante, pedestramente imitato dal centro-sinistra italiano con le famigerate “cattedrali nel deserto”, alla piccola impresa turistica, che è vocazione tipicamente italiana e mediterranea, è fare un piacere agli estimatori del sistema industriale multinazionale, che non a caso tanto affascina, col suo gigantismo decadente, gli ex stalinisti convertiti al capitalismo. Giustificare questa assurda preferenza con il fatto che un certo numero di addetti al turismo è sottopagato è un altro errore logico, prima che economico. Con questo criterio dovremmo eliminare i settori i cui lavoratori sono pagati male, invece che promuovere una loro corretta retribuzione…E per favore, lasciamo stare Marinetti, perché a citarlo in modo decontestualizzato e a prendere i suoi paradossi per programmi economici e progetti politici avremmo già da tempo dovuto asfaltare Venezia. E lasciamo perdere gli strali contro i “preti”, questo anticlericalismo d’accatto, segno distintivo di tutte le massonerie… Insomma l’articolista non ne azzecca una!!!

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Matteo Rovatti 31 Maggio 2016 - 9:52

Viva Stalin.
Ora se mi vuole scusare, ho un aperitivo in Loggia a cui non posso mancare.
Ordo Ab Caos.

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Martino 31 Maggio 2016 - 11:08

La questione è controversa, la conosco poco e non mi pronuncio in merito. L’unica cosa che rilevo è che questo articolo ridonda di aggettivi, anche molto forti, e non è piacevole da leggere. Rovatti, gli aggettivi lasciali mettere al lettore nella propria testa; tu limitati a raccontare i fatti: se sono veri, non hai bisogno di caricarli con espressioni enfatiche, il lettore ci arriva da solo.

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Pietro Frignani 31 Maggio 2016 - 11:59

Concordo al 100% con Massimo,io aggiungo che l’editorialista Rovatti cambi mestiere o diventi allievo di altri due cialtroni che sparano cazzate i signori Brunetta e Tremonti che a loro tempo dichiararono che con la cultura non si mangia,poveri dementi andate a industrializzare in Cina o nei paesi emergenti.

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Matteo Rovatti 1 Giugno 2016 - 7:26

Caro Martino, il giorno in cui vorrò scrivere un pezzo di cronaca glielo farò sapere senza indugio.

Caro Frignani, il mio mestiere (che peraltro lei non conosce) va bene così come va.
Per il resto, i numeri parlano chiaro per chi li sa leggere.
Certo, se ci fossero piu tecnici ed operai gli albergatori troverebbero meno schiavi da far lavorare in turni da 18 ore senza contributi, ma non si preoccupi: ci sono i “nuovi italiani” a fare i “lavori che non vogliamo più fare”.

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Martino 1 Giugno 2016 - 11:03

Caro Rovatti, meno male che in questo eccellente sito d’informazione lei è l’unico ad avere i nervi poco saldi e a tenere un comportamento così poco professionale (a precindere dalla mediocre scrittura), altrimenti avrei smesso già da tempo di frequentarlo. Con questo, chiudo eternamente le trasmissioni con lei. Buona fortuna.

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Luciano 1 Giugno 2016 - 9:22

L’articolo non manca di qualche esasperazione provocatoria (se si cita Marinetti la provocazione è dichiarata), ma, appunto come le provocazioni futuriste, indica una direzione.
Ed a seguire l’indicazione, non si può negare che i numeri siano quelli. Non si tratta di “chiudere” al turismo, ma di rendersi conto che si tratta di una componente parziale e minimale del tutto.

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Martino 1 Giugno 2016 - 11:05

Luciano, scrivilo tu, per favore, un articolo sull’argomento, sono sicuro che sarà migliore di questo.

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Dag 1 Giugno 2016 - 3:19

Son convinto che un’economia basata sul turismo sia in effetti il principio di una decadenza: Venezia, Firenze.. non divennero quel che sono per attirare turisti, ma per esaltare la forza e la laboriosità di un Popolo.
Smetter di produrre (produrre genio, in generale) porta a diventare un museo a cielo aperto di cui non potremmo essere altro che i custodi.
Custodi svogliati, però, in quanto (sotto)pagati da altri.

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Gab 1 Giugno 2016 - 6:21

I “39,7 miliardi di dollari americani” riportati nell’articolo sono appunto gli “introiti” del settore turismo, non il suo Pil.
Il Pil è composto da tutt’altro che dai soli introiti, quindi è completamente sbagliato equiparare i 39,7 miliardi di introiti con i 1900 miliardi di Pil. Per usare un eufemismo…
Difatti il settore turistico contribuisce direttamente per il 4,2% al Pil; considerando invece l’impatto diretto, indiretto ed indotto forma il 10,2%. Le percentuali dell’occupazione creata sono simili.

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Martino 1 Giugno 2016 - 7:15

Ovviamente, se consideriamo i beni storico-artistici e paesaggistici come un’attrattiva da dare in pasto a masse di turisti compulsivi e straccioni, condanneremo il nostro territorio a diventare una specie di “riserva indiana” o di luna park. Ma esiste anche un’altro tipo di “industria” legata a questo tipo di ricchezze: quella culturale, qualificata, di spessore, che utilizza le risorse esistenti per crearne di ulteriori, frutto d’ingegno, di studio, di elaborazione profonda, di amore, di identità. Quindi credo che non sia sbagliato considerare i palazzi antichi, i monumenti, gli scavi archeologici, i musei e via dicendo una risorsa, si tratta di decidere se ne vogliamo farne un campo da coltivare o un granaio da depredare.

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roberto Pecchioli 1 Giugno 2016 - 7:20

Rovatti ha ragione. Una grande nazione ha una politica industriale , energetica, creditizia, non aspira ad indossare livree da cameriere prodotte in Cina o Bangla DEsh. Gomez davila, inltre ci ammoniva anche da un punto di vista più “alto”: le cattedrali non sono state costruite per l’ente del turismo.

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Pino Rossi 2 Giugno 2016 - 11:01

Pienamente d’accordo con l’articolo. L’Italia non ha bisogno di greggi di ignoranti che si concedono qualche giorno di gentrificazione di un centro storico, al solo scopo di mettere foto su facebook e consumare, bulimicamente, come un poppante, esperienze e alimenti. La maggior parte di questi ovini non ha alcun interesse nell’arte e nella storia, ma considera il viaggio come un’altra fonte di intrattenimento. Le linee aeree a basso costo sono comode, ma stanno distruggendo il mondo. Lo stesso accade in Asia dove sono fiorite le Ryanair locali. Io stesso mi pento di un passato da viaggiatore sempre alla ricerca di luoghi dove non va nessun altro. Luoghi che io stesso ho contribuito a distruggere.

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Alessandro 3 Giugno 2016 - 9:39

“Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando l’arte era ancora un fenomeno estetico, la sua destinazione era per i privati. Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi, l’arte è diventata decorativa, consolatoria. L’abuso d’informazione dilata l’ignoranza con l’illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso”.

Per me, in relazione al turismo, vale il discorso di Carmelo Bene.
Chi vuol capire capisca….

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Martino 3 Giugno 2016 - 10:13

Alessandro, se consideriamo la gente com’è oggi, sono d’accordo con te. Ma la gente è diventata così perché il sistema l’ha resa così. Non so tu di che idee sia, ma per me la politica dev’essere mirata anche all’educazione e alla crescita spirituale e culturale del popolo. Ovvio che questo non possiamo pretenderlo da Renzi e compagnia bella, ma la cosa non ci impedisce di stabilire cosa per noi sia giusto e cosa sbagliato. Io credo che anche Pound e Kafka andrebbero dati alla gente, perché loro hanno scritto per il mondo. Io ci credo ancora nella politica. Casa Pound non si chiama Casa Costanzo, e però non è un circolo di asceti.

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Paolo 4 Giugno 2016 - 3:20

Sono d’ accordo anche io, anche perché se incominciamo a decidere quali sono le informazioni da rendere pubbliche, e quali no, ecco che stiamo di nuovo cadendo nella mentalità da Grande Fratello… chi deve decidere, per chi?

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Alessandro 15 Giugno 2016 - 9:19

Martino hai perfettamente ragione.
Io mi riferivo al fatto che il turismo d’arte non può e non deve essere turismo di massa per mandrie di pecoroni menefreghisti che non capiscono una mazza e che costano alle città che li ospitano ben più di quanti soldi portano.
Sto pensando alle orde di mufloni sia stranieri che italiani, ad esempio, che in una sola giornata scendendo dalle navi da crociera a Livorno riescono a fare il tour di Pisa, Siena e Firenze. Tre città per le quali non basterebbe un mese per avere un’idea della loro bellezza e delle loro preziosità artistiche. Servono davvero questi soggetti all’economia italiana? Per me no, se ne potrebbero restare a casa loro a fare danni.

Hai detto bene, il Popolo deve essere educato alla bellezza e all’arte. E l’educazione passa anche dall’incentivazione di un turismo veramente culturale e non basato soltanto sulle visite alle vie della moda o agli outlet della zona.

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Gruppo di Studio AVSER 3 Giugno 2016 - 2:40

Evviva Rovatti!

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