Roma, 4 nov – Settimana potenza industriale del mondo, seconda in Europa. Ecco la fotografia dell’Italia manifatturiera scattata dal Centro Studi Confindustria e contenuta all’interno del rapporto “Scenari industriali” pubblicato nella giornata di ieri.
“L’Italia – si legge nello studio Csc – arranca ancora. Tuttavia l’annuale classifica evidenzia che il Paese riesce a difendere la seconda posizione in Europa e settima nel mondo, con una quota del 2,3%, seppure quasi dimezzata rispetto al 2007“. Il riferimento non è alla produzione industriale tout court, bensì alla quota di valore aggiunto manifatturiero sul totale mondiale, classifica che vede al primo posto la Cina, seguita da Stati Uniti, Giappone e Germania. Prima dell’Italia vengono Corea del Sud e India, mentre noi stacchiamo di misura Regno Unito e Francia. Ciò che emerge, tuttavia, è una continua e costante contrazione del valore che, dal 4% del 2007, è sceso al 2,3% di oggi dal 2,5% che aveva toccato nel 2012 e comunque in calo dell’1,6% rispetto all’anno scorso. Una riduzione che non ci fa uscire dal G8 (come si teme comunque accadrà nel medio termine senza inversione del trend) ma, anzi, recuperiamo una posizione grazie al tracollo del Brasile, alle prese con una crisi senza precedenti che fa uscire il paese sudamericano dai primi dieci.
“La domanda di Made in Italy è forte e crescente. Il brand Italia mantiene – continua il Centro studi – integra la grande capacità di attrazione, che va meglio colta con la promozione internazionale declinata in tutti gli aspetti”, dovendosi comunque puntare su “promozione dell’export, intercettazione dei nuovi turismo, investimento nella valorizzazione della cultura”, anche al fine di “colmare i vuoti di produzione scavati dalla crisi, si va da dal -50% del legno dal picco pre-crisi al +11% della farmaceutica, con il Sud che ha subito i danni maggiori”. Proprio l’export, secondo l’associazione degli industriali, è un altro degli elementi da tenere in grande considerazione: l’Italia è nona per esportazione di manufatti, “ma se teniamo conto che la sterlina è stata svalutata di circa il 20% torna ad essere ottava“, osserva il rapporto.
Filippo Burla