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“Indecenti” è il rilancio della lotta per il Bene, quello vero

by Stelio Fergola
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Indecenti Ricucci

Roma, 3 gen – Esiste un atteggiamento intellettuale particolarmente florido e diffuso negli ultimi decenni il quale spaccia sé stesso per presuntivamente “illuminato”. Ovvero quello della “assenza del bene e del male” nella società, non soltanto esercitato nell’ovvio e scontato rifiuto del manicheismo in politica, ma anche nella comunicazione di una sorta di sposalizio effettivo del relativismo imperante attraverso forme differenti, sedicentemente più “sveglie” o “più intelligenti”, ma in realtà ben orientate ad un approccio limitato: quello di rifiutare proprio le sfumature che sostiene di inquadrare con tanto acume.

È ovvio che il manicheismo di massa rappresenti un’idiozia, ce ne rendiamo conto praticamente su tutte le questioni di politica internazionale, che riguardino Cina, Usa, guerra in Ucraina e recente conflitto in Medio Oriente. Questo però non significa – ed è qui che il fine intellettuale spesso diventa un tonto, spesso pure arrogantello – annullare la differenza tra Bene e Male e addirittura non rilevarla nelle innumerevoli manifestazioni in cui essa si palesi. Il Bene e il Male esistono, esistono delle cause giuste e delle cause sbagliate: non pensarlo genuinamente significa matematicamente consegnarsi alla schiera degli ignavi e degli schiavi, nonché dell’incapacità di difendere la propria casa, la propria Patria, la propria Nazione dalle forze che vogliono distruggerla. E che la stanno distruggendo da decenni, al di là di ogni ragionevole dubbio. Ebbene, Indecenti, ultima fatica letteraria dell’amico e collega Emanuele Ricucci, sembra essere animato da questo spirito. Quello della consapevolezza che il Bene esista, il Male esista. Ciò nonostante la polemica contro il “Bene politicamente corretto”, se così si può definire, sia tutt’altro che sottaciuta.

“Indecenti” di Emanuele Ricucci

Indecenti di Ricucci è un inno alla libertà e alla necessità di ritrovare sé stessi. Come uomini, donne e come comunità. In meno di duecento pagine, lo scrittore dà fondo a pensieri profondi su ciò che siamo e su cosa dovremmo essere. Un principio in cui l’educazione è parte fondativa essenziale che, per citare lo stesso autore, rappresenta “lo sforzo, anzitutto, di rieducare il proprio elettorato alla militanza come forma di carnale partecipazione – non solo virtuale – di abitudine a una comunità e non a una società di affiancati, così come alla cultura (politica), e non solo a ritwittare il capo credendo di essersi compiuti; un percorso di depurazione, che non è perdita di contatto col leader, ma un modo rinnovato di interpretare la presenza e la distanza dall’imposizione di un mondo che non si sente affatto proprio, di essere partecipante appartenenza – combattendo col coltello fra i denti quell’illusione di partecipazione globale che è propria del
mondo odierno – ad esempio, e non un segnale di gradimento virtuale, likes da sommare, prevedibile compitino che alimenta la sondocrazia, il governo dei sondaggi e della percezione. Va, poi, ripreso urgentemente il territorio. E il territorio lo fanno gli uomini che traducono in una sintesi i grandi sistemi di pensiero applicati alle necessità quotidiane. Un percorso di rappresentanza “fisica” che si palesa ancor più quando il sommo leader fugge tra le piazze in una continua, esasperante, imperterrita campagna elettorale”

Lottare per il Bene

Alla pagina 27, Ricucci scrive: “La secchezza (spirituale) odierna è disarmante. Il Bene, come accaduto per secoli, e persino il male non hanno più “delle conseguenze trascendenti. Paradiso e inferno sono luoghi del folklore”. Ed è veramente difficile dargli torto. Non essendo più stimolati dalla presenza dello spirito, gli uomini si sono spinti a relativizzare tutto. Come è difficile dargli torto quando, qualche pagina più avanti, insiste definendo la morale odierna come “un altro cane da guardia
della moralizzazione della comunità tutta che non volge più al Bene, ma al giusto. Il giusto di Stato, il giusto ideologico, il giusto secondo chi genera la cultura di massa e il sentire comune. Il giusto parlare, il giusto accogliere, il giusto scegliere nel contesto della libertà e dei diritti: la politica, il partito che ne garantisce di più detta le regole del gioco”. C’è una profonda sensibilità in questa differenza tra il “giusto ideologico” e il “Bene” che a parere di scrive rappresenta il vero punto di forza dell’analisi di uno scrittore estremamente passionale e convinto delle sue evoluzioni filosofiche. Contraddistinte da una profondità d’animo oggi davvero difficile da riscontrare e che noi, su queste pagine, abbiamo già avuto la fortuna di ospitare.

Stelio Fergola

 

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