Roma, 16 giu – “Meno male che Silvio c’è”. In tanti ricordano questo brano, esplicitamente propagandistico, pubblicato nel 2008 per celebrare il leader del centrodestra di allora, ovvero l’appena scomparso Silvio Berlusconi. Un brano che già all’epoca suscitò prevedibili ironie e critiche saritiche, ma che è diventato insospettabile protagonista della classifica dei brani più ascoltati sul web.
“Meno male che Silvio c’è” in vetta su Spotify
“Meno male che Silvio c’è” di Andrea Vantini, è al primo posto della classifica Spotify «Viral 50 Italy». Nel 2008 la canzone era diventata l’inno ufficiale della campagna elettorale di Berlusconi che portò all’ultimo successo del centrodestra da lui guidato, con il partito unico Popolo della libertà. Il decesso illustre ha dato improvvisa e nuova linfa al brano, che ha scalato la classifica online, diventando il più ascoltato. Vantini ha così commentato, parlando anche della morte di Berlusconi: “Mai mi sarei aspettato che il presidente mi chiamasse, all’epoca, e che quel brano avrebbe avuto un così grande successo. Sono davvero colpito”. Il cantante aveva raccontato anche di come quella canzone gli avesse creato problemi: “Se avessi fatto una canzone per Giorgio Almirante avrei avuto meno ripercussioni negative sulla mia carriera. La mia colpa è aver scritto quelle parole che non si potevano dire, “Menomale che Silvio c’è”. Un’affermazione grave che il mondo dello spettacolo, foraggiato economicamente dalla sinistra, mi sta ancora facendo pagare. L’antipatia se non l’odio, che la sinistra provava per Berlusconi si è riflessa, in parte, su di me”.
Un impatto pazzesco anche post mortem
La canzone veniva diffusa in ogni comizio o convegno in cui fosse presente Berlusconi, prima delle elezioni. Diventava praticamente sempre il sottofondo degli interventi del leader del Popolo della libertà, diventando già all’epoca virale e bersagliata dalle ironie – e dai fastidi intestinali – della sinistra. Il che, a prescindere dall’ovvio trash che rappresentava, forse era la vera nota di merito.
Alberto Celletti