Roma, 20 apr – Mai come negli ultimi tempi, nei dibattiti politici e sulla stampa (pensiamo alla situazione mediorientale), si è sentito menzionare la parola “geopolitica”. Troppe volte senza un minimo senso o giustificazione di sorta. Giornalisti e intellettuali sembrano essersi dimenticati in fretta di come questa particolare branca di studio sia stata per decenni squalificata e bollata semplicisticamente come “scienza nazista” o “fascista”, con la consueta profondità del dibattito democratico dei nostri giorni. Ma la geopolitica ha dovuto ad essere “riammessa”, da quando la fine della Guerra Fredda ha lasciato le classi dirigenti europee prive della bussola per orientarsi tra tensioni e conflitti internazionali. Scusate, ma Fukuyama non ci aveva detto che la storia era finita?
Il pregiudizio verso la geopolitica deriva dal fatto che proprio nella Germania degli anni Trenta (ma anche prima) maturò una riflessione di alto livello sul tema. Il generale Karl Haushofer e la sua «Zeitschrift für Geopolitik» ne furono l’emblema, indicando linee-guida che talvolta erano in contrasto con quelle ufficiali (sulla Russia in primis). E nel 1942 Carl Schmitt scrisse il suggestivo “Terra e Mare”, ancora oggi d’attualità. L’Italia, dal canto suo, trasse ispirazione per impostare una geopolitica autonoma. Gli sforzi di alcuni giovani dell’Università di Trieste vennero premiati nel 1939, quando nacque il primo periodico nostrano sul tema, titolato proprio “Geopolitica”. Osteggiati dall’accademia e della geografia ufficiale, trovarono l’aiuto decisivo in Padre Agostino Gemelli e soprattutto in Giuseppe Bottai. Il gerarca incentivò Ernesto Massi (principale animatore della rivista) al punto di proporre l’abbonamento cumulativo di “Geopolitica” con la sua celebre “Critica Fascista”. Secondo Giulio Sinibaldi, tra i motivi principali «c’era la necessità, sentita da lui e da altri nel regime, di arginare la dinamicità dell’alleato tedesco provvedendo le basi per uno spazio vitale italiano»
L’attività dei geopolitici italiani fu significativa e intensa. Tra le molte influenze culturali di base si deve citare l’idealismo gentiliano insieme alla tradizione geografica italiana, da Carlo Cattaneo fino a Renato Biasutti e Cesare Battisti. I geopolitici del nostro paese volevano ricostruire e attualizzare quello che consideravano un autonomo pensiero geografico-politico nazionale, includendo in questo disegno Nicolò Machiavelli, Giuseppe Mazzini e la «geopolitica romana in atto» dei tempi dell’Impero. Concetto quest’ultimo fondamentale per Massi ed Ernesto Roletto (co-fondatore), desiderosi di vedere un’Italia capace di riappropriarsi dell’antico primato sul piano civile e di potenza. Il recupero dell’eredità romana serviva anche per differenziare il colonialismo italiano da quello delle potenze democratiche, che secondo loro fondavano i propri domini su «economie di rapina». D’altro canto, il monopolio di paesi come Inghilterra e Francia sulle vie di comunicazione e sulle principali materie prime del globo era evidente, e costantemente denunciato dalla rivista italiana. Nel primo numero Massi scrisse un articolo fondamentale al proposito, titolato “Democrazie, colonie e materie prime”, in cui emergevano le contraddizioni delle potenze egemoni.
Nella scelta dei temi, al netto di alcuni anacronismi ed errori, possiamo rintracciare la maggiore attualità di “Geopolitica”. Prima di tutto il Mediterraneo, sognato come futuro «centro civilizzatore e area fulcro mondiale». L’Italia avrebbe dovuto proiettarsi verso il Mare Nostrum sul piano culturale, commerciale e di influenza politica, per «rompere le sbarre della prigionia mediterranea». Avversari principali quelli di sempre: la Francia ma soprattutto la “nuova Cartagine”, L’Inghilterra. Veniva offerta amicizia e attenzione alla Spagna, alla Turchia e ai paesi arabi (Palestina tra gli altri). L’“Eurafrica” era lo slogan usato per il grandioso progetto, di cui una linea ferroviaria transafricana (per limitare l’importanza di Suez) era l’idea più suggestiva. Si affermava una geopolitica “per meridiani” (verticale) contro una geopolitica “per paralleli” (orizzontale), di modo che Roma risultasse il centro di un nuovo spazio vitale europeo, capace di comprendere le ragioni del giovane stato totalitario. In questo contesto rientrava anche un secondo aspetto fondamentale: l’attenzione politica verso i Balcani, da perseguire anche in opposizione alle mire tedesche. Emergono quindi «un’originale impostazione scientifica e la formulazione di ipotesi degne d’interesse», come ha notato ancora Sinibaldi. Non a caso, diversi teorici della rivista si fecero promotori di una geopolitica dinamica e volontaristica in opposizione a quelle che venivano considerate le basi troppe deterministiche delle scuole straniere.
Le intuizioni di questo gruppo di giovani studiosi e professori arrivarono fino a prevedere il sorpasso americano ai danni dell’impero britannico nell’egemonia anglosassone e a portare alla luce e discutere i maestri della materia (come Mackinder e Mahan) e le basi scientifiche della geopolitica. Le loro proposte arrivarono a scalfire, seppur marginalmente, le alte sfere del regime, mettendo in campo un attivismo che ancora oggi costituisce un esempio. Contatti fecondi si ebbero con altre esperienze originali quali la Scuola di Mistica fascista, l’ISPI e i Gruppi Universitari Fascisti (di Milano in particolare). Tra i giovani del mondo accademico l’interesse fu altissimo, anche Amintore Fanfani collaborò alla rivista. A Pavia si tenne il I Convegno internazionale interuniversitario di geopolitica (15 -16 dicembre 1939), organizzato dal Guf locale. Una serie di fermenti che si perse nei meandri e nelle asprezze della guerra, ma il cui lascito non andò (e non deve andare) completamente perduto. Pensiamo solo al fatto che tutti i geografi che scrissero sulle pagine di “Geopolitica” occuparono importanti cattedre nelle università italiane per tutto il dopoguerra. Non solo Massi (che diventerà anche presidente della Società Geografica Italiana e animatore di “Nazione Sociale”) e Roletto, ma anche Toschi, Toniolo, Caraci, Nageroni, Merlini, Ortolani e Bonetti. Un patrimonio di studi che deve costituire il punto di partenza per chiunque voglia fare geopolitica, e mettere i suoi strumenti al servizio degli interessi dell’Italia. Ancor di più in un momento storico in cui il rifiuto dell’identità e dell’amor di patria sembra essere il passaporto necessario per fare politica, ricerca e cultura.
Agostino Nasti