Roma, 17 nov – Westworld, la serie evento prodotta e trasmessa dalla HBO, è stata ufficialmente rinnovata per la seconda stagione. Non era difficile prevederlo, visto che dopo 7 puntate ha raggiunto livelli di audience paragonabili ad altre due serie cult, entrambe targate HBO ed osannate pressoché unanimemente da pubblico e critica, come True Detective e A Game of Thrones, che molti ritenevano a torto inarrivabili.
La serie era attesissima già da più di un anno per diversi motivi. Il primo riguarda l’idea di base, ovvero l’omonimo film cult di fantascienza del 1973 interpretato da Yul Brinner e che vide l’esordio come regista del romanziere best seller Michael Crichton, l’autore del romanzo Jurassic Park. Il secondo motivo è il team creativo, che riproponeva la fortunata accoppiata tra Jonathan Nolan, fratello minore di Christopher e sceneggiatore di quasi tutti i suoi capolavori, e J.J. Abrams, coppia già collaudata in Person of Interest. Il terzo è il cast stellare che vede spiccare dei mostri sacri come Anthony Hopkins e Ed Harris, accompagnati da attori di altissimo calibro come Evan Rachel Wood, Thandie Newton, James Marsden, Jeffrey Wright e Rodrigo Santoro (il Serse di 300).
Ma le attese sono andate ben oltre le aspettative. Il film del ’73, che narrava di un futuristico parco giochi a tema western, abitato da androidi avanzatissimi e programmati a rispondere automaticamente alle azioni dei ricchissimi visitatori umani e che improvvisamente prendono coscienza del loro essere prigionieri del mondo in cui vivono ribellandosi ai loro creatori, ovviamente è servito solo come base narrativa di fondo. In realtà la serie si svolge tra un colpo di scena e l’altro toccando temi molto cari tanto a Abrams quanto ai fratelli Nolan. La ricerca del labirinto e del suo centro come “strato più profondo del gioco”, in cui il gioco è tanto il parco a tema quanto la realtà stessa, il “non cedere agli istinti più bassi” che il parco offre per scoprire chi si è davvero – “scopri chi sei in realtà” è il motto di Westworld – ma anche l’identità, la memoria, il rifiuto dell’ineluttabilità e del destino come necessità imposta da altri, il rifiutare la sopravvivenza superficiale in quanto “sopravvivere è solo il solito loop”, la ricerca più profonda di ciò che ci rende coscienti piuttosto che macchine, una ricerca che però troppo spesso gli umani non intraprendono preferendo rimanere dormienti, lasciando la volontà di superamento alle macchine che in questo modo diventano più Uomini di noi.
Impossibile non pensare a capolavori di fantascienza come Blade Runner, Ghost in the Shell o Dark City ma anche agli stessi Inception di Nolan o Lost di Abrams. In qualche modo Westworld riesce a prendere il meglio da tutti questi esempi senza tuttavia copiarli ma creando un prodotto del tutto nuovo, originale e indubbiamente appassionante, agevolato senza dubbio dal cast ma anche dall’intreccio di sottotrame degne del miglior thriller e che convergono verso la trama principale senza lasciare allo spettatore un attimo di tregua, lasciando ogni volta domande e dubbi tanto da far fioccare già decine e decine di teorie in rete tanto sui personaggi quanto sulla stessa linea temporale della serie, che forse potrebbe essere tutt’altro che lineare. Per la fine della prima stagione mancano solo tre puntate e Evan Rachel Wood, l’attrice protagonista che interpreta il robot “ribelle” Dolores, ha già promesso che gli ultimi due episodi “spezzeranno il cuore e manderanno fuori di testa”. In attesa della seconda stagione, già certa, ma che potrebbe arrivare non prima della fine del prossimo anno se non addirittura nel 2018.
Carlomanno Adinolfi