Washington, 1 mag – Se negli ultimi dieci anni il mondo ha potuto approvvigionarsi di petrolio senza problemi di scarsità, lo deve al nuovo petrolio americano estratto soprattutto come combustibile solido – kerogene – e quindi liquefatto, dalle rocce porose di scisto in numerosi vastissimi campi sparsi negli stati centro-orientali.
Forzato a emergere attraverso tecniche particolari e molto costose che vengono chiamate “retorting”, il nuovo “petrolio di scisto” si è dimostrato una risorsa formidabile, in grado di aggiungere al mercato dell’oro nero ben cinque milioni di barili al giorno partendo da zero nel 2009 e accelerando a ritmi vertiginosi dal 2011. Praticamente la metà degli oltre dieci milioni di barili al giorno di cui il mondo ha avuto bisogno dal 2005 a oggi sono stati forniti dal petrolio di scisto, gli altri – in parti quasi uguali – dalle sabbie bituminose del Canada e da altri liquidi non-convenzionali come i biocombustibili.
Tutto andava bene finché il prezzo del petrolio rimaneva oltre i 90-100 dollari al barile, cioè dal 2011 fino all’estate scorsa. Dopo di che lo stato dell’economia ha iniziato a peggiorare nuovamente, la domanda è diminuita e il prezzo del petrolio è letteralmente crollato fino ai 45 dollari del gennaio scorso, per poi risalire fino ai circa 58 dollari di oggi.
Non appena, tra ottobre e novembre 2014, il prezzo del barile ha attraversato, in discesa, la soglia dei 75 dollari, l’attività esplorativa prima, e quindi anche quella estrattiva, nei bacini di scisto ha iniziato una vertiginosa discesa, riflettendosi infine nella produzione complessiva statunitense che nel mese di aprile appena trascorso ha registrato le prime flessioni, come testimoniato dalla stessa agenzia Usa per l’energia (Eia) nel suo ultimo rapporto.
Il problema non è di poco conto: per sostenere una crescita regolare, il mondo e la sua popolazione in continuo aumento ha bisogno di consumare ogni anno oltre un milione di barili di petrolio al giorno in più. Se dovesse declinare o perfino arrestarsi la nuova produzione americana, dove si troveranno quei cinque milioni di barili, più uno tutti gli anni? In altre parole, se nel 2020 non dovesse più essere disponibile il petrolio di scisto, occorrerà trovare nuovi giacimenti in grado di fornire dieci milioni di barili in più ogni giorno, qualcosa come il 12% della produzione convenzionale attuale.
Ad aggravare l’allarme, il rapporto della Banca del Canada del gennaio scorso ha indicato in quasi 80 dollari al barile il prezzo del petrolio necessario affinché siano economicamente sostenibili non solo il petrolio di scisto Usa ma anche quello estratto dalle sabbie bituminose dell’Alberta in Canada: in tutto circa sette milioni e mezzo di barili al giorno.
Per rimanere negli Usa e al relativo petrolio di scisto, anche in considerazione degli enormi investimenti e relativi indebitamenti delle compagnie petrolifere sorte e cresciute come funghi in questi anni, per non parlare del loro carico occupazionale, gli esperti si stanno prodigando in analisi e previsioni anche molto contrastanti.
Su un versante, quelli come Carl Larry di Frost & Sullivan LP il quale dichiarava a Bloomberg che probabilmente tra la fine del 2016 e il 2017 la produzione Usa sarà tornata prossima ai livelli precedenti al boom dello scisto: una previsione agghiacciante, fondata sull’ipotesi che il prezzo del petrolio non tornerà più su valori sostenibili per le risorse non convenzionali, in quanto l’economia mondiale non può reggere oltre una certa soglia di prezzo. Opinione non solitaria, che trova alcuni riscontri anche nella letteratura scientifica.
Sullo stesso versante, ma meno drastico, Arthur Berman, notissimo geologo petrolifero con 36 anni di esperienza e consulente per le più grandi compagnie, secondo il quale il settore petrolifero sta vivendo un momento di passaggio drammatico. Secondo Berman, le migliaia di pozzi lasciati incompiuti non potranno essere terminati e portati in produzione, né le esplorazioni riprendere, a meno che il prezzo del petrolio torni a superare i 75 o preferibilmente gli 85 dollari.
Tra le opinioni collocate sul versante opposto spicca quella di Andrew Cosgrove, noto analista energetico per l’agenzia Bloomberg. Secondo Cosgrove, ma non da solo, tutte le compagnie petrolifere impegnate nei campi di scisto, e in particolare le più grandi, stanno ancora attendendo un segnale dal mercato, in termini di prezzi più allettanti, per completare i pozzi temporaneamente abbandonati e tornare in produzione a pieno regime. Avendo imparato la lezione, gli operatori saranno attenti a non inondare il mercato di petrolio non richiesto, così da trovare un equilibrio tra prezzi adeguati per le produzioni e stabilità (in alto) degli stessi prezzi.
La storia recente, per la verità, non depone troppo bene: come si legge nel grafico a fianco, ogni volta che il prezzo del petrolio è salito oltre gli 80 dollari al barile, l’economia globale è entrata in crisi e spesso in recessione: così dopo la rivoluzione iraniana del 1979-1980, dopo il picco del prezzo del 2008 e infine dopo la fase di prezzi molto elevati del 2011-2014.
Come sarà chiaro a questo punto, non è soltanto una questione di profitto per le compagnie petrolifere, ma di disponibilità di petrolio per le esigenze dell’economia mondiale, per questo ci riguarda tutti e il dilemma cui soltanto il tempo darà risposta è questo: per disporre del petrolio necessario alla crescita globale è necessario che il suo prezzo superi almeno gli 80 dollari al barile, ma i paesi consumatori saranno in grado di pagare questi prezzi senza entrare in crisi e quindi riportare automaticamente i prezzi verso il basso?
Un thriller dal cui esito dipenderà una parte importante del destino economico del mondo e dell’Europa in particolare che, complessivamente in stagnazione o recessione ormai dal 2008, vede diminuire simultaneamente sia il proprio consumo (dal 2005) sia la già modesta produzione interna (dal 1999) di petrolio, ambedue a oggi nella misura di circa due milioni di barili al giorno.
Francesco Meneguzzo
2 comments
Ma lei prima di scrivere si informa? i dati sono tutti tragicamente sbagliati. La sola UE consuma 13 milioni di barili al giorno. Scrivere cose così è da denuncia!
“Praticamente la metà degli oltre dieci milioni di barili al giorno di cui il mondo ha avuto bisogno dal 2005”
“Un thriller dal cui esito dipenderà una parte importante del destino economico del mondo e dell’Europa in particolare che, complessivamente in stagnazione o recessione ormai dal 2008, vede diminuire simultaneamente sia il proprio consumo (dal 2005) sia la già modesta produzione interna (dal 1999) di petrolio, ambedue a oggi nella misura di circa due milioni di barili al giorno.”
https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/ee.html
Caro Marco,
Dal contesto – grafico in alto e testo – era del tutto evidente che gli “oltre dieci milioni di barili al giorno di cui il mondo ha avuto bisogno dal 2005” si riferivano al fabbisogno AGGIUNTIVO necessario all’economia mondiale dal 2005 a oggi, dal momento che ogni anno serve oltre un milione di barili al giorno per sostenere la “crescita”. Avrei dovuto inserire anche il termine “aggiuntivo”, ma onestamente mi pareva ovvio.
Quanto ai “due milioni di barili al giorno”, era direttamente ovvio che questi si riferivano alla perdita di produzione e di consumo europei.
Mi sa che sei caduto male, caro mio, perché con i numeri non sbaglio mai. Quanto alla “denuncia” – immagino intellettuale – premesso con rispetto che te la puoi ficcare nel culo, propongo una contro-querela per simulazione d’intelligenza 🙂 non me ne volere, l’attenuante ammessa è il caldo che per fortuna con oggi si attenua.