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Il “Tempo del Futurismo” non è mai passato

by Sergio Filacchioni
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Futurismo

Roma, 20 gen – Inaugurata il 3 dicembre alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la mostra “Il Tempo del Futurismo” investe come un treno a vapore il torpore a cui ci eravamo abituati: allestita per celebrare l’ottantesimo anniversario della morte di Filippo Tommaso Marinetti, l’allestimento ha attirato su di sè entusiasmo ma anche aspre critiche. Una su tutte, inevitabile: è propaganda Fascista.

Sull’impossibilità di de-fascistizzare il Futurismo

“I più anziani fra noi, hanno trent’anni”, scrisse Marinetti nel primissimo Manifesto del Futurismo. “Da oltre un anno”, scrive invece oggi il New York Times, “la Galleria d’arte Moderna è stata individuata dai critici come luogo di propaganda governativa”. Possibile che l’unica accusa sensata al movimento artistico che più di tutti si saldò alla politica, è proprio che si faccia un “uso politico” dell’arte? L'”arte-azione” marinettiana non era mica una metafora forbita: “La Rivolta” di Luigi Russolo, scelto da Marinetti come icona del Futurismo per la mostra di Parigi del 1912, non era solo un dipinto, ma appunto una divinazione e un presagio. Nel 1919 saranno i Futuristi e Marinetti a guidare il famigerato assalto all'”Avanti!“. La rivolta si trasforma in realtà. L’arte prende vita. Quindi, nonostante le scomuniche della sinistra, una cosa resta pur sempre vera: è impossibile de-fascistizzare il Futurismo ed tentativo di “normalizzazione” resterà debole. Impossibile separarlo dalle passioni politiche del novecento italiano di cui fu egli stesso l’inveratore, il promotore e l’avanguardia. La “sfida alle stelle” non era metafisica, ma pratica. E ci parla ancora oggi, attirando nonostante tutto migliaia di visitatori che attraverso l’allestimento alla GNAMC si ritroveranno immersi in un Campari o magari della “Ricostruzione futurista dell’Universo“.

L’ambizione Futurista

In effetti, tutta la mostra ci parla della grande ambizione Futurista di ridisegnare la realtà, di sconvolgerla, ribaltarla e metterla nella prospettiva di una volontà sovrumanista. Colori sgargianti, automi metallici, paesaggi artificiali: la mostra ha il pregio di passare in volata sopra tutte le sfaccettature di un movimento artistico totale che ha investito pittura, musica, design, arredo, pubblicità, architettura e letteratura. Un movimento che non ha mai smesso di produrre riviste, manifesti e sfide, al mondo e a sè stesso: dall’aeropittura di Crali e Dottori, alle geometrie polimateriche e inquietanti dell’idealismo cosmico di Prampolini. La mostra getta uno sguardo perfino su gli “oggetti di culto” del Futurismo: Maserati e idrovolanti, cinema e radio. Non è possibile accontentare sempre tutti, ma una lancia in favore di questa mostra la spezziamo: la sua principale qualità è proprio il suo messaggio politico, l’idea che traspare da ogni tela e ogni pezzo di ferro. Quale? Chiamatela pure “tecnodestra” se volete. Se a qualche tradizionalista farà sicuramente storcere il naso: ma a noi piace pensare che la simultaneità del profilo continuo di Mussolini renda giustizia al puro movimento, al divenire, al perpetuo moto e cambiamento che si materializza in due dimensioni come un Giano Bifronte. Insomma vogliamo che nessun discorso sulle origini sia inquinato dal passatismo, vogliamo pensare insieme mito e tecnologia così come per primi hanno immaginato i Futuristi. Che sia questo il presagio più inquietante che toglie il sonno ai “direttori artistici” e gli “addetti alla cultura“? Prima della venuta della Fisica Quantistica il Futurismo aveva già annusato gli spazi infiniti del cosmo, portandosi ben oltre il suo secolo e il nostro. Perchè il suo tempo non è mai passato. Deve ancora arrivare.

Sergio Filacchioni

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