Roma, 6 feb – Parlando di Robert Brasillach è difficile scrollarsi di dosso l’immagine del suo processo e della sua uccisione. Di cui peraltro ricorrono oggi gli ottant’anni. Il pubblico ministero che lo accusava di collaborazionismo con i tedeschi e per questo ne chiedeva la testa, gli rinfacciava anche il suo ascendente sui giovani. Quasi un “corruttore di giovani”, quasi fosse – ironico a dirsi – un Socrate in camicia nera. Non c’è, forse, chi più di Brasillach abbia saputo raccontare la giovinezza, i suoi sogni, la sua purezza, la sua felicità così effimera, il suo coraggio e la sua forza. Quella giovinezza indistinguibile dall’amicizia, tant’è che lo stesso Brasillach ebbe a dire al proprio avvocato: “L’amicizia è l’unica cosa cui credo”. Non sorprende quindi che quello che viene spesso considerato come il suo capolavoro, Comme le temps passe, sia appunto un meraviglioso affresco della giovinezza, prima invincibile poi malinconica, e dell’amicizia che si tramuta in amore.
Il tempo che fugge di Robert Brasillach
Apparso per la prima volta in Italia, per le Edizioni Sette Colori, con il titolo La ruota del tempo e la prefazione di Stenio Solinas, il romanzo di Brasillach è stato ripubblicato pochi mesi fa per la stessa casa editrice. Questa volta con il titolo Il tempo che fugge. La storia si intreccia sulle vite di René e Florence, dallo loro infanzia scapigliata in un’isola delle Baleari alle loro avventure giovanili alla scoperta del mondo, fino alle delusioni della maturità. Come scrive Solinas, qui “è la vita a essere teatro e, proprio perché vista con gli occhi della giovinezza, in essa nulla è normale ma tutto è assoluto”. Va detto fin da subito che questo è uno dei romanzi meno impegnati politicamente di Brasillach. Le questioni politiche fanno raramente capolino nella trama del libro, tra le poche eccezioni un bambinetto carlista che i due protagonisti incontrano a Toledo. A prendersi tutta la scena è appunto la giovinezza, con le sue passioni e suoi amori, perfino il suo triste svaporare. Sullo sfondo i cambiamenti dell’epoca, dall’avvento del cinema, con i suoi pionieristici e sgangherati eroi, alla Grande Guerra. “La felicità non è che un miracolo bastardo della fortuna, che bisogna senza chiedersi da dove provenga”, così per Brasillach la vita non è altro che una successione di isole, di momenti felici strappati allo scorrere del tempo. Almeno così sembra in quell’estate invincibile che è la giovinezza. Quella “dominazione imperiale del tempo”, quel suo trascinarsi e trascinare è inevitabile, pertanto “l’uomo non esiste affatto, e non può giudicare se stesso senza quella fuga che lo trascina in barca, lontano dalle sorgenti miracolose, lontano dalla sua infanzia e dalla sua giovinezza, ma non può nemmeno giudicarsi senza quelle pause accordate da Dio, in qui egli domina a sua volta il fiume infaticabile, e sorride al suo destino”.
Il grande meriggio della giovinezza
Nel romanzo di Brasillach, il tema della giovinezza non è declinato solamente da un punto di vista temporale, ma anche spaziale. Infatti, nella prima parte del libro i protagonisti si trovano a Pollenza, isoletta delle Baleari. Questo è per loro una sorta di Paradiso terreste, qui avviene la “creazione del mondo”. Un panorama naturale, quasi selvatico, dove gli abitanti sono gente semplice e priva di affettazioni borghesi. Ma soprattutto un panorama mediterraneo che, come potrebbe commentare Adriano Scianca, si richiama a “un’idea di ordine che è sempre solare, vivace, mai irregimentato, mai mastodontico, sempre misurato”. A ciò si contrappone la mestizia e il grigiore del Nord, della città di Maulieu, in Borgogna, dove René e Florence si trasferiscono. Qui lo scenario è all’opposto quello di una città fin troppo borghese, con i suo snobismi, antipatie e pettegolezzi, una “città graziosa e altera, ma talmente triste, con i viali offuscati dalla pioggia e i cittadini senza interesse”. La giovinezza ha quindi un coloritura luminosa, solare, apicale, un tutt’uno con quel grande meriggio che è il mediterraneo, con la sua dolcezza circonfusa di forza, con il suo ridente coraggio, come “un sorso d’aurea felicità”.
Michele Iozzino