Roma, 16 feb – Come si possono spiegare le sempre più frequenti prese di posizione da parte di amministrazioni e sindaci delle nostre grandi città verso tendenze repressive, neo-proibizioniste e divieti assurdi i quali iniziano a moltiplicarsi a vista d’occhio? Uno su tutti l’esempio della Milano di Sala targata Pd. Dove, dall’inizio di questo 2025, non si può più fumare all’aperto e in tutte le aree pubbliche qualora non si riesca a mantenere una distanza di almeno dieci metri. Sigarette e tabacchi vari al bando quindi sui marciapiedi, nei parchi e nei pressi delle fermate del trasporto pubblico. Un divieto che, ci tiene a precisare il primo cittadino della capitale italiana del progressismo liberal, rappresenta solamente un “impegno per la tutela della qualità dell’aria e la salvaguardia della salute dei suoi cittadini e delle sue cittadine”. Al di là delle conseguenze specificatamente amministrative come multe e sanzioni, in qualunque caso assurde, questa linea narrativa rappresenta una ben specifica logica funzionale al sistema politico ed economico nel quale siamo immersi. Possiamo chiamarlo “regime salutista“?
La salute nel tardo capitalismo
La nostra epoca è colma di politici, intellettuali e finti profeti secondo i quali il capitalismo non solo sia l’unico sistema politico e economico oggi percorribile. Ma che sia anche l’unico pensabile. Questa sensazione diffusa, ormai introiettata anche a livello d’inconscio collettivo, rappresenta quel realismo capitalista ben spiegato da Mark Fisher. E racchiuso alla perfezione dall’ormai famoso slogan “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo“.
Una delle conseguenze più evidenti di tale illusione ideologica è proprio il modo in cui il neoliberismo, fiore all’occhiello di questo sistema, abbia nel tempo ridefinito la salute in termini riduttivi ed edonistici, trasformandola nei fatti in una performance individuale. Ci troviamo davanti ad un modello che, assumendo il piacere e il desiderio come uniche forme di appagamento, porta all’estremo un certo tipo di enfasi salutista tutta incentrata sullo “stare bene” per “apparire bene” dove ogni richiamo valoriale è annullato. Non è che fumare sia sbagliato, è che ci impedisce di portare avanti una vita lunga e piacevole. I fumatori vengono accusati di non avere coscienza dei propri interessi. O di non comportarsi in maniera coerente al rispetto di loro stessi: siamo solamente prodotti da esibire.
Regime salutista
Anche la salute viene spettacolarizzata nell’epopea della self-care economy, il benessere rappresenta questo sistema di orientamento morale e emotivo. Una gestione affettiva fatta di diete fit, divieti di fumo e dove bere più di due birre comporta lo straccio della patente. Questo regime sentimentale nasconde un pervasivo puritanesimo moralista nel quale ha valore solo ciò che è incline ad essere più funzionale, più attraente e più energetico.
Conseguenza diretta di questa condizione è una spirale repressiva di sanzioni, multe e condanne. Ogni tipo di negatività incompatibile con la società della performance e del benessere forzato deve essere rimossa. Anche il filosofo coreano Byung-Chul Han ha sottolineato come nel neoliberismo la salute non è più solo una questione medica. Ma un imperativo morale e produttivo. La felicità è diventata un dovere sociale, ogni tipo di dolore o negatività deve essere quindi sacrificato sull’altare apatico di una società asettica. In questo senso il fumo, e qualunque altra pratica considerata “autodistruttiva”, subisce l’attacco da parte di questa logica.
Il paradosso della città vetrina
Milano continua ad essere la roccaforte di tutta quella retorica green e progressista che sembrerebbe arrivata alla sua conclusione, ma non senza combattere. La città vetrina per eccellenza, tra iper-turismo e appelli all’inclusività, mostra il suo lato paradossale. La scelta di introdurre il nuovo divieto di fumo, misura assurda stile 1984, incarna in pieno la tendenza distopica di questo neo-proibizionismo interno al capitalismo postfordista. Continue leggi, divieti e restrizioni rappresentano le conseguenze di quel “paternalismo senza padre” analizzato da Žižek. Secondo il quale un’azione è sbagliata solamente perché potrebbe avere conseguenze dannose per noi stessi.
Questa società, sempre più votata all’individualismo e succube delle leggi del mercato, si conferma quindi una a trappola mortale per ogni prospettiva di azione, anche se addobbata a massima espressione delle libertà umane.
Renato Vanacore